Da un lato, la dura accusa dei vertici del Partito Liberale Radicale: «Il Cantone «mobbizza» i cittadini stranieri regolarmente residenti in Ticino». Dall’altro lato, la piccata replica del governo di Bellinzona: «Non è vero».Strane storie di ordinaria contraddizione giungono da oltreconfine. Pochi giorni fa un «messaggio» del Consiglio di Stato ha risposto punto su punto a una mozione del Plr in cui si sosteneva che da parte del «Dipartimento delle istituzioni, e dalla Sezione della popolazione in particolare, vi è in atto una strategia antistranieri a tutto campo, inclusi coloro che non hanno mai dato problemi di sorta e tra questi anche quelli benestanti». Una strategia, sostengono i Liberali, potenzialmente in grado di penalizzare anche gli stessi cittadini svizzeri, dato che gli stranieri vessati dai controlli «contribuiscono al pagamento di imposte e a generare un certo indotto cantonale di cui beneficiano tutti i residenti, ticinesi compresi, in difficoltà».Le accuse del Plr appaiono circostanziate. «Ci sono decine di casi di persone che ricevono continuamente visite di ausiliari di polizia e di impiegati comunali il mattino presto per verificare che cos’hanno nel frigorifero e quale biancheria hanno nei loro armadi. Si tratta di liste di persone, anche buoni contribuenti e residenti da diversi anni, e che mai hanno dato problemi, da controllare nel periodo di sei mesi».Insomma: uno scenario da guerra fredda nei confronti di chi chiede il rinnovo del permesso B (dimora) o C (residenza). Una vera e propria stretta che sarebbe stata voluta e messa in atto dal ministro leghista Norman Gobbi, nella foto, noto per le sue scelte anti-frontalieri.La replica, come detto, è arrivata pochi giorni fa. Ed è stata altrettanto dura nei toni e secca nelle argomentazioni. «La mozione propone una lettura dei fatti poco attinente alla realtà», si legge nelle prime righe. E più sotto: «I toni utilizzati dai mozionanti (i firmatari della mozione, ndr) e le allusioni a procedure persecutorie nei confronti degli stranieri sono infondati».I numeri, dicono i funzionari del Dipartimento delle Istituzioni, «parlano chiaro: in Ticino si contano 173.553 permessi attivi; le decisioni negative per le quali l’Ufficio Migrazione ha fissato un termine di partenza o di cessazione di attività nel 2018 sono state 759, ovvero lo 0,44%. Di queste non tutte hanno poi implicato realmente un allontanamento dalla Svizzera, vuoi perché la situazione si è sanata in seguito, vuoi perché è stato accolto il ricorso. Alla luce di quanto precede, mal si comprendono simili affermazioni che accrescono solo l’animosità su un tema già sufficientemente delicato e complesso».In realtà, ammette il governo, alcuni recenti cambi di norme hanno imposto un «nuovo approccio», forse più rigido ma sicuramente non discriminatorio. E diretto per lo più a «impedire che prestazioni sociali siano impropriamente erogate».
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