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Pillola abortiva, pochi casi a Como. Nove interruzioni su dieci in sala operatoria

L’interruzione di gravidanza in Lombardia avviene in oltre 9 casi su 10 in sala operatoria. L’utilizzo della pillola abortiva, meglio nota con la sua sigla commerciale, Ru486, introdotta nel 2009, nella regione non è mai decollato. Così lo scorso anno, soltanto l’8,2% delle donne ha optato per la scelta farmacologica. Un dato nettamente inferiore rispetto a quello di altre zone d’Italia. In Liguria, ad esempio, la pillola è stata utilizzata per il 44% delle interruzioni di gravidanza, in Piemonte per il 39%.In provincia di Como, la situazione è perfettamente in linea con quella lombarda.

Le interruzioni di gravidanza vengono effettuate al Sant’Anna e al Sant’Antonio Abate di Cantù. E se nel presidio di San Fermo della Battaglia la pillola abortiva lo scorso anno è stata somministrata in meno di dieci casi, nel presidio brianzolo il dato è ancora fermo a zero.

«Per ragioni organizzative la scelta è stata di effettuare solo al Sant’Anna le interruzioni di gravidanza con la pillola Ru486, che sono comunque un numero limitato, nell’ordine di poche unità in un anno – spiega Paolo Beretta, primario di Ostetricia e ginecologia dell’Asst Lariana – In generale, in Lombardia il farmaco è poco utilizzato. Anche perché spesso le donne scelgono di interrompere la gravidanza oltre il termine entro il quale può essere effettuata questa procedura».

«Inoltre – continua il primario – credo che il motivo principale sia legato alle linee guida della Regione. L’indicazione per questa procedura infatti è di ricoverare per tre giorni le pazienti. Questo dissuade molte donne, perché invece l’intervento chirurgico è effettuato in day hospital. In altre regioni le linee guida sono diverse e l’aborto farmacologico viene effettuato in day-hospital o addirittura in modo ambulatoriale, questo cambia molto le cose».

La Lombardia potrebbe rivedere le linee guida, come precisato anche dallo stesso assessorato regionale al welfare.«La Regione sta facendo un ragionamento su questo particolare tipo di prestazione sanitaria – conclude Paolo Beretta – Se ci fosse una revisione sulla scelta dei tre giorni questo potrebbe sicuramente cambiare l’approccio e orientare diversamente le donne».

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