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Ponina, l’amore comasco di Pavese

La rivista di scritture poetiche “Capoverso” fondata da Carlo Cipparrone, Pino Corbo, Franco Dionesalvi e Nerio Nunziata pubblica nel numero 37 un saggio del critico letterario comasco Vincenzo Guarracino dedicato allo scrittore Cesare Pavese e alle sue memorie lariane.Nella biblioteca “Paolo Borsellino” di Como sono conservate le lettere e le poesie d’amore che l’autore diLavorare stancainviò alla comasca Giuditta Ciliberti Tallone (1904-1997) detta Ponina.Fu un «fugace “idillio” giovanile (…) propiziato dalla musica e concretizzatosi tra estate-inverno del ’29 in otto poesie e quattro lettere, indirizzate alla ragazza ma non accompagnate da risposte – scrive Guarracino – Lui è alla vigilia della laurea, che conseguirà nel giugno dell’anno successivo con una tesi su Walt Whitman, ed è in preda a uno dei suoi ricorrenti attacchi di depressione».Ponina, chi era costei? «Giuditta detta Ponina – spiega l’articolo – figlia e sorella di celebri pittori, è una giovane e promettente pianista. Si sono conosciuti in campagna, ad Alpignano, dove entrambi vanno d’estate a villeggiare, e subito ne è sorto un qualcosa che autorizza Cesare ad eleggerla a giudice e musa della sua “miracolosamente” rinata vena poetica. Certo, non tutte le otto liriche sono nate sull’impulso del sentimento per Ponina, almeno a dar retta alle date dell’autografo e ad altre spie interne all’intero corpus dell’opera poetica».L’analisi del critico accompagna questo tenero idillio giovanile nel suo svolgersi cartaceo fino alla fine.«Drammatica nella sua secchezza, la missiva del 23 dicembre – annota Guarracino – non riportata nella raccolta curata da Lorenzo Mondo e Italo Calvino (1968): “Perché tutto quanto finora è da ricominciare e così sarà per tutta la mia vita. E scriverei soltanto cose che un mese dopo dovrei mutare. Pavese”. Evidentemente qualcosa non ha funzionato tra i due. Forse gli ultimi versi, intrisi di maledettismo decadente, della lirica inviata il 3 novembre: “Sotto il cielo nerastro / io mi dibatto in cose senza senso / che mi martellano come litanie”. Lei, Ponina, qualche anno più tardi, nel ’32, sposerà il filosofo Franco Ciliberti e con lui costituirà un sodalizio umano e intellettuale, tra Milano e Como, di grande e feconda intensità».Lui continuerà studi e lavori letterari e inseguirà invano un modello femminile di compagna ideale che possa aiutarlo in questo percorso esistenziale e poetico insieme: «via via con nomi e fattezze diverse (Dina, la “donna dalla voce roca”, Constance), fino agli esiti estremi delle ultime parole del Mestiere di vivere del 18 agosto del ’50: «Tutto questo fa schifo. Non parole. Un gesto. Non scriverò più».

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