James Schwarzenbach, chi era costui?
In pochi, ormai, lo ricordano. Leader del partito di estrema destraAzione Nazionale, deputato al Parlamento federale di Berna, riuscì praticamente da solo a promuovere un referendum che, se approvato, avrebbe chiuso d’un colpo le porte della Svizzera ad almeno 300mila stranieri.
Il 7 giugno 1970 il 75% degli elettori elvetici – un record di partecipazione da allora mai più nemmeno avvicinato – si recò alle urne per dire sì o no alla sua proposta. Schwarzenbach perse. Il suo nome entrò nella storia senza tuttavia riuscire a cambiarne il corso.
Mezzo secolo dopo,Concetto Vecchio, un giornalista italiano figlio di emigrati (è nato ad Aarau, in Argovia), ha scritto un libro su James Schwarzenbach e su tutti quegli italiani che, in fuga da un Paese povero – il nostro – avevano una «vita in salita», costretti com’erano a lasciarsi alle spalle una terra nella quale «c’era soltanto la libertà di morire di fame» (Cacciateli! Quando i migranti eravamo noi, Feltrinelli 2019, pagine 192, euro 18).
La prima impressione, leggendo il libro, è che l’autore abbia voluto parlare del presente raccontando un passato forse non troppo lontano ma sicuramente dimenticato.
«Il presente risalta di più se si narra un passato che si è voluto scordare – dice – La mia intenzione era riportare alla luce un referendum totalmente dimenticato e, insieme, la storia dei miei genitori emigrati dalla Sicilia in Svizzera».
Ne è scaturito un affresco vivido sugli “ultimi” degli anni ’60 e ’70, sullo «sradicamento che coglie chi emigra, sulla condizione di straniero, che è una condizione morale, un sentimento uguale ieri e oggi». Gli uomini diPane e cioccolata, per intendersi.
Di sé, Concetto Vecchio parla come di un «privilegiato: sono nato come tanti figli della seconda generazione con due culture; a casa si parlava italiano e siciliano, a scuola lo svizzero tedesco. È stata una ricchezza e insieme un limite. A lungo sono stato un po’ l’uno e un po’ l’altro. Quando tornavo in Sicilia per le vacanze ero lo “svizzero”. Per il resto dell’anno, invece, ero l’“italiano”». Nell’animo, un sentimento terribile: «il “doppio rancore”: contro gli svizzeri, che ti volevano cacciare; e contro l’Italia, che ti aveva costretto ad andare via». Insiste, Concetto Vecchio, sul fatto di non aver voluto raccontare il presente.
Ma le analogie con ciò che accade oggi sono «potentissime». «Le idee di Schwarzenbach sono state sconfitte – dice il giornalista – ma i suoi slogan contro l’establishment o contro l’Europa sono gli stessi che sentiamo oggi. Giocano sul fatto che si deve difendere un’identità. Schwarzenbach voleva parlare a tutti, diceva di non essere un razzista ma affermava “prima gli svizzeri”, così come oggi qualcuno urla “prima gli italiani”». A cinquant’anni di distanza, conclude il giornalista, «è sempre la paura dell’altro a nutrire il populismo. Una paura che cancella la memoria e non ci fa capire perché decine di migliaia di giovani rischiano la vita e sono disposti a buttarsi nel fuoco pur di sopravvivere».
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