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Quando le nonne si curavano con le piante

Tradizioni locali – Uno studio cataloga oltre trecento essenze selvatiche usate in passato come farmaci o alimenti nell’area insubrica

Oltre trecento piante selvatiche usate in passato come farmaci o alimenti nel territorio comasco ed elvetico sono al centro di un recente volume di Gabriele Peroni, edito dall’associazione culturale Terra Insubre. Piante selvatiche d’Insubria in alimentazione e in medicina è uno studio di etnobotanica, realizzato al fine di fornire una conservazione e una revisione critica di notizie legate alla tradizione orale, che altrimenti andrebbero perdute.Le piante che vengono illustrate

dalla pubblicazione, 317 selvatiche e 15 coltivate, sono raccolte in ordine alfabetico, così da rendere la materia ampiamente fruibile a tutti.Sfogliando le pagine del volume, si scopre come gli stessi ingredienti potessero essere impiegati sia per usi alimentari che medici, sempre però secondo la sapienza dei nostri antenati, vissuti nella parte più occidentale della provincia di Como, in Canton Ticino, in provincia di Varese, nella zona a nord di Milano e lungo le rive novaresi del Ticino e del Lago Maggiore.Molteplici sono le fonti che hanno portato alla realizzazione del libro, ampliamento di un precedente studio dell’autore sull’etnofarmacologia dall’eloquente titolo Le nostre nonne si curavano così.Immancabili, dunque, sono le nozioni tramandate per via orale, alle quali l’autore ha aggiunto quelle ricevute nei suoi molteplici anni di professione come fitoterapeuta e relatore di conferenze e corsi didattici di vario livello.E risulta curioso scoprire gli impieghi più svariati di piante che usiamo comunemente.le curiositàIl rosmarino, ad esempio, risulta utile contro la depressione, la bronchite o il mal di denti, la menta, pestata con olio d’oliva, serviva in caso di emicrania, mentre l’infuso delle sue foglie risolveva problemi di diarrea.Se la difficoltà era quella opposta, allora scendeva in aiuto un infuso ottenuto dalla corteccia dei rami giovani del noce. Senza dimenticare che i frutti acerbi, allora come oggi, consentivano di preparare un liquore dal gusto accattivante: il nocino.Ogni pianta viene citata nell’opera anche con il suo nome in vernacolo, utilizzato poi in una delle appendici per mantenere vivo il ricordo di proverbi e filastrocche sulle piante alimentari, medicinali o velenose. Massime che sono vere e proprie pillole di saggezza. Per vivere a lungo si raccomandano, infatti, piedi asciutti, un buon broccolo, cioè cibi vegetali, un buon cappello con cui coprire la testa e poco cervello, ossia pochi pensieri.

Cristina Fontana

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