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QUEL CETO MEDIO CHE NON ESISTE PIÙ

diGIORGIO CIVATI

Le nuove povertàIl ceto medio? Non esiste più, o almeno non come lo si intendeva in passato. Lo dicono, oggi, le autorevoli statistiche dell’Istat. Ma anche in questo caso, a Como e dintorni si sapeva già.Lo sapevano i setaioli, che per decenni hanno furoreggiato e fatto notizia per gli abiti delle star, delle principesse, e delle mogli o fidanzate dei magnati di turno, ma che hanno costruito buona parte delle loro fortune sull’abitino della signora del ceto medio. Benestante, anche se non ricchissima

.Però in termini numerici diffusa, molto diffusa. E grande acquirente. Non esiste più, o comunque si è drasticamente ridotta, quella fascia di popolazione con pochissimi o nessun debito, spesso con la casa di proprietà e magari con qualche soldo da parte. Con entrate continue e sicure.Oppure ancora in qualche misura ancora c’è, ma è “malata” di insicurezza circa il futuro. Di conseguenza, una certa tipologia di prodotti legati al made in Como del tessile ha mercati infinitamente più ridotti. Principesse, multimilionari in euro e pochi altri, sparsi nel mondo. Che però non bastano a garantire livelli produttivi sufficienti al distretto tessile comasco.L’altra faccia della medaglia della crisi del ceto medio è invece anche locale. Perché anche qui, sul Lario, la crisi è arrivata ormai da due/tre anni e le difficoltà non mancano. E se le statistiche generali possono essere prese a prestito, allora si può pensare che anche un comasco su quattro è toccato dalla povertà, come indicano i dati globali. Anzi dalla “nuova” povertà, che è definizione singolare, tutta da interpretare. Anche a Como il povero di oggi, a differenza di quello del passato, spesso ha infatti un lavoro, solo meno sicuro rispetto al passato. Ha di frequente un tetto sulla testa, anche se non sempre di proprietà, una macchina – una sola, e più piccola o più vecchia – e però fatica a far quadrare i conti. Arriva alla fine del mese con mille attenzioni e spesso senza poter risparmiare, anzi intaccando quelli che sono i risparmi di “prima”, dei periodi migliori.E questa è la situazione “meno peggio”. Chi sta peggio, decisamente peggio, un lavoro l’ha perso e non riesce a reinserirsi. È dunque a rischio di emarginazione sociale. Fatica proprio a vivere. Ex ceto medio, oggi quasi disperati. Sicuramente meno benestanti, a volte quasi poveri o poveri del tutto. Comaschi come tanti, cui qualcosa è andato storto.Aggiungete le aziende in crisi, che per sopravvivere sono spesso costrette a licenziare per ridurre drasticamente i costi. Mettete in conto un costo della vita piuttosto elevato a partire dagli affitti ma anche per le spese varie della vita di tutti i giorni.E non dimenticate le “strette” che almeno una parte del sistema bancario ha effettuato sui prestiti e sui finanziamenti. Ecco allora un quadro a tinte decisamente più fosche anche per la realtà locale. Certo, in altre aree va ancora peggio. Ma è una magra consolazione perché i problemi ci sono. E per chi li vive in prima persona sono tragici. Travolgenti.

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