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«Questa è un’arte, per essere ripagati servono sacrifici»

Ha lavorato una vita coltivando una passione che lo ha portato a diventare uno dei più apprezzati chef d’Italia. Per molti anni ha cucinato ai fornelli del ristorante del Casinò municipale di Campione d’Italia e, dal 2011, è presidente dell’Associazione Provinciale Cuochi di Como. Da qualche anno la nobiltà di questo antico mestiere è stata messa in risalto da alcuni format catodici di successo come MasterChef, tanto che la possibilità di diventare il nuovo Carlo Cracco ha iniziato a far

gola a molti giovani: «Quello che si vede in televisione – afferma Cesare Chessorti – non è tutto reale, ma certamente ha fornito alcuni validi input. A un giovane posso dire che tutto deve partire dalla passione e dalla formazione, senza mai dimenticare che occorrono grandi sacrifici prima di essere ripagati da questo mestiere. La nostra è un’arte, non basta copiare una ricetta, le nostre mani devono sapere personalizzare ogni piatto. Ogni territorio ha la sua cucina, le proprie radici sono la prima cosa da apprendere. La formazione è fondamentale, così come tutte le esperienze che verranno, e devo dire non si finisce mai di imparare».In quanto alle prospettive in questo campo, il parere di Cesare Chessorti è molto positivo: «Le possibilità di lavoro sono notevoli, alla gente piace uscire a mangiare e non dimentichiamo che siamo in una zona con una forte vocazione turistica. Poi non sottovaluterei – aggiunge lo chef – l’attenzione che meritano i menu per i celiaci e per i vegetariani, giustamente sempre più esigenti rispetto alle loro scelte alimentari quando vanno al ristorante. Ma anche in questo senso le nostre scuole stanno facendo un ottimo lavoro».Che il settore dell’enogastronomia sia in crescita lo ha recentemente dimostrato anche la 13ª edizione della rassegna gastronomica interregionale “Arte in Cucina”, organizzata e promossa proprio dall’associazione presieduta da Chessorti, che ha premiato in quel di Erba quattro giovani cuochi e pasticcieri.Per quanto riguarda i sommelier, la questione è un po’ più complicata. La consapevolezza del bere bene è ancora tutta da costruire, sia dalla parte dei consumatori sia da quella degli esercenti. Il presidente della delegazione comasca dell’Ais è ben consapevole delle problematiche: «La cultura del vino – afferma Giorgio Rinaldi – ancora non c’è. Spesso lo si divide ancora solo in bianco o rosso. La tipicità, il legame tra vitigno e territorio rimangono temi fondamentali ma in gran parte sconosciuti. A Como qualcosa si sta muovendo come dimostra l’interesse per i nostri corsi che sono sempre più frequentati. La strada è però ancora lunga anche perché l’attenzione mediatica è rivolta più frequentemente al cibo, mentre il vino rimane ancora un argomento di nicchia. Occorre sensibilizzare la politica affinché la professione di sommelier possa trovare adeguati sbocchi presso la ristorazione».

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