Rapina in via del Doss, ieri gli interrogatori. «Non c’entro, ero solo il “taxista” della banda»

Si sono svolti ieri gli interrogatori dopo l’esecuzione dell’ordinanza di custodia in carcere per l’assalto al distributore di benzina di via del Doss, una rapina brutale (in cui venne anche esploso in aria un colpo di pistola calibro 7.65) che risale al 6 febbraio scorso.Tre le persone che sono state sentite in videoconferenza dal giudice delle indagini preliminari di Como, Laura De Gregorio, lo stesso che ha firmato l’ordinanza.Un sardo, che viveva a Lainate e che subito dopo l’accaduto si era trasferito nell’isola, a sud di Sassari per fare il barbiere (42 anni), ha rilasciato dichiarazioni spontanee respingendo ogni contestazione avanzata dal pm Mariano Fadda e dai carabinieri di Como. Il suo legale ha poi chiesto i domiciliari. Un turco di 34 anni, che vive a Como, difeso dall’avvocato Roberto Colombo, si è invece avvalso della facoltà di non rispondere. Il terzo indagato, un comasco originario della Calabria (41 anni, rappresentato dal legale Simone Gatto) ha invece parlato tentando di spiegare la propria posizione. Al giudice avrebbe detto di essere stato solo il “taxista” della banda, ma di non sapere che cosa gli altri facessero dal momento che li lasciava sul posto fino al loro ritorno.Solo in seguito, a suo dire, si sarebbe reso conto della gravità di quanto avvenuto e per questo avrebbe anche litigato.Il suo compenso variava, di volta in volta, «dai 50 ai 100 euro».«Avevo bisogno di soldi – avrebbe detto – Avevo uno sfratto pendente e pure le bollette da pagare. Il bottino non fu diviso con me, a riprova del fatto che non facevo parte della banda». L’avvocato Gatto ha poi chiesto i domiciliari, sottolineando al gip sia l’impossibilità (in questi giorni di emergenza sanitaria) a «svolgere una qualsiasi attività difensiva», sia la mancanza, proprio in virtù dei blocchi per il Covid-19, delle esigenze cautelari in carcere.«Potrebbe benissimo stare a casa, impossibilitato ad uscire come tutti noi con le strade tanto pattugliate. Il carcere, proprio in queste settimane difficili per la diffusione del virus, dovrebbe essere solo l’ultima opzione possibile, quando proprio non c’è alternativa».Il giudice si è riservato di decidere su entrambe le posizioni per cui sono stati chiesti i “domiciliari”.Secondo l’accusa il sardo sarebbe l’uomo che avrebbe impugnato la pistola, entrando nel distributore con il turco e legando l’addetto presente per poi rapinare l’attività. Il 41enne di Como, invece, sarebbe rimasto in macchina poco distante, attendendo la fine del colpo per poi fuggire in direzione di via Cecilio.Mauro Peverelli