di Adria Bartolich
In questi giorni è all’attenzione del Parlamento un decreto sulla scuola che, se dovesse passare senza modifiche, obbligherà i docenti assunti dal 1° settembre 2020 a tempo indeterminato, alla permanenza di almeno 5 anni nella stessa scuola. Il vincolo di permanenza, se dovesse diventare legge, non potrà essere superato dai contratti collettivi nazionali sulla mobilità. Inoltre, l’insegnante neo-immesso in ruolo decadrà automaticamente dalle graduatorie. Viene da chiedersi come mai una norma tutto sommato persino logica, perchè è evidente che la definizione dell’organico di una scuola debba discendere soprattutto dalle esigenze didattiche e che nessun contratto possa superare nei suoi contenuti la norma di legge, ci abbia messo così tanto a palesarsi in un provvedimento legislativo.
Non si tratta di un’intuizione epocale. Se dovesse passare, semplicemente attutirà l’ormai annoso problema della sottodotazione di insegnanti negli organici delle scuole del Nord Italia, pur senza risolverlo completamente, ma sarebbe già un primo passo importante, e al contempo ridurrebbe la gigantesca girandola di insegnanti itineranti tra le diverse graduatorie, nonchè il numero complessivo di costoro nelle stesse. Il tema visto con gli occhi di un osservatore esterno sembra quasi una questione di lana caprina, ma non lo è. Ormai da troppo tempo il funzionamento delle scuole è stato quasi totalmente asservito alle esigenze soggettive di una parte del personale.
Non di tutto, naturalmente; ma mi pare chiaro che se le esigenze del personale, proprio perchè legate al benessere dei lavoratori soprattutto nell’esercizio di una professione quanto mai delicata, sono un elemento fondamentale di cui tenere conto perché possano esercitare la propria professione con un minimo di tranquillità, e perciò per loro natura importanti, non possano però essere dirimenti per le scelte didattiche. Detto in parole povere, gli insegnanti e il personale in genere per svolgere il loro lavoro devono essere trattati con giustizia e tendendo conto delle loro esigenze.
Quando però le esigenze del personale diventano preminenti su tutto il resto, siamo di fronte a una distorsione del sistema. Così certamente è stato, almeno nell’ultimo decennio. Così, se passasse il decreto, non potrà più essere. Inoltre il principio della decadenza simultanea da tutte le altre graduatorie chiude la fase deleteria dello spostamento sulla graduatoria più vantaggiosa per i trasferimenti o quella della scelta tra la disciplina di più alto gradimento; entrambe concorrevano a far sballare anche le più articolate previsioni sui reali fabbisogni delle istituzioni scolastiche.
di Adria Bartolich
In questi giorni è all’attenzione del Parlamento un decreto sulla scuola che, se dovesse passare senza modifiche, obbligherà i docenti assunti dal 1° settembre 2020 a tempo indeterminato, alla permanenza di almeno 5 anni nella stessa scuola. Il vincolo di permanenza, se dovesse diventare legge, non potrà essere superato dai contratti collettivi nazionali sulla mobilità. Inoltre, l’insegnante neo-immesso in ruolo decadrà automaticamente dalle graduatorie. Viene da chiedersi come mai una norma tutto sommato persino logica, perchè è evidente che la definizione dell’organico di una scuola debba discendere soprattutto dalle esigenze didattiche e che nessun contratto possa superare nei suoi contenuti la norma di legge, ci abbia messo così tanto a palesarsi in un provvedimento legislativo.
Non si tratta di un’intuizione epocale. Se dovesse passare, semplicemente attutirà l’ormai annoso problema della sottodotazione di insegnanti negli organici delle scuole del Nord Italia, pur senza risolverlo completamente, ma sarebbe già un primo passo importante, e al contempo ridurrebbe la gigantesca girandola di insegnanti itineranti tra le diverse graduatorie, nonchè il numero complessivo di costoro nelle stesse. Il tema visto con gli occhi di un osservatore esterno sembra quasi una questione di lana caprina, ma non lo è. Ormai da troppo tempo il funzionamento delle scuole è stato quasi totalmente asservito alle esigenze soggettive di una parte del personale.
Non di tutto, naturalmente; ma mi pare chiaro che se le esigenze del personale, proprio perchè legate al benessere dei lavoratori soprattutto nell’esercizio di una professione quanto mai delicata, sono un elemento fondamentale di cui tenere conto perché possano esercitare la propria professione con un minimo di tranquillità, e perciò per loro natura importanti, non possano però essere dirimenti per le scelte didattiche. Detto in parole povere, gli insegnanti e il personale in genere per svolgere il loro lavoro devono essere trattati con giustizia e tendendo conto delle loro esigenze.
Quando però le esigenze del personale diventano preminenti su tutto il resto, siamo di fronte a una distorsione del sistema. Così certamente è stato, almeno nell’ultimo decennio. Così, se passasse il decreto, non potrà più essere. Inoltre il principio della decadenza simultanea da tutte le altre graduatorie chiude la fase deleteria dello spostamento sulla graduatoria più vantaggiosa per i trasferimenti o quella della scelta tra la disciplina di più alto gradimento; entrambe concorrevano a far sballare anche le più articolate previsioni sui reali fabbisogni delle istituzioni scolastiche.
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