«Servono più concerti, prendiamo esempio dagli eventi svizzeri e da “Umbria Jazz”»

e di conseguenza con un prodotto di adeguato livello da comunicare al mondo».Questa è la prima perplessità, e riguarda la prima tappa del progetto espositivo targato Cavadini: «La mostra su Sant’Elia non ha entusiasmato, e non ha fatto vendere camere agli albergatori lariani. Mi chiedo allora quanti turisti prenotino i loro soggiorni in funzione di questi eventi, come le mostre o manifestazioni come “Parolario” e “Miniartextil”. Il rischio è alimentare solo un turismo di prossimità, un banale “mordi e fuggi”».«Da tecnico del turismo – rimarca ancora Camesasca – lo slittamento della grande mostra da giugno a novembre non è concettualmente errato, va nell’orizzonte di una destagionalizzazione. E per noi albergatori destagionalizzare gli eventi significa aumentare e mantenere l’occupazione e i contratti di lavoro presso le strutture alberghiere. Purché il territorio giochi in termini di squadra, e consenta l’operazione, beninteso. Ma allora domandiamoci, alla luce dell’esperienza, se la mostra di Cavadini del 2013 ha avuto mordente: non mi risulta. Non ha nutrito e sviluppato l’interesse che ci aspettavamo noi albergatori e operatori turistici».Come uscirne? «Serve un prodotto vincente. Abbiamo bisogno di vendere camere e fare presenze. Servono attività che possano catalizzare l’attenzione dei turisti. Meglio pochi concerti, ma di alta qualità e di grande richiamo. Come hanno fatto Lugano e Locarno, e come hanno fatto Arezzo Wave e Umbria Jazz che per me continuano ad essere modelli: lì si fa turismo con la cultura, perché si è creata un’attrattiva davvero allettante per il pubblico internazionale. A Como siamo ancora molto indietro».