Sono stata molestata ma mi hanno dato la colpa | A pagare sono sempre le vittime: spunta la legge più discussa di sempre
Molestie - Pexels - corrieredicomo.it
Il tema della difesa personale torna al centro del dibattito, alimentato da casi in cui chi tenta di proteggersi finisce paradossalmente sotto accusa.
La questione divide l’opinione pubblica da anni, ma negli ultimi mesi ha assunto contorni ancora più delicati. Sempre più persone denunciano di essersi trovate nella condizione di dover reagire a un’aggressione o a una molestia, salvo poi ritrovarsi davanti a un sistema che, invece di tutelarle, sembra rivolgere loro sospetti e responsabilità.
È un cortocircuito che colpisce soprattutto chi vive situazioni di vulnerabilità e teme che chiedere aiuto possa trasformarsi in un ulteriore ostacolo.
In questo scenario entra in gioco una delle norme più discusse degli ultimi anni, quella che disciplina l’utilizzo degli strumenti di autodifesa.
Una legge nata per regolamentare il possesso e l’uso di alcuni dispositivi, ma che in diversi casi è diventata motivo di incertezza. Molti cittadini si chiedono quando sia realmente possibile impiegarli per proteggersi e quando, invece, il rischio sia quello di subire conseguenze penali, pur essendo la parte offesa.
La norma che fa discutere: cosa prevede davvero e perché crea confusione
Al centro del confronto c’è la disciplina che riguarda lo spray al peperoncino, uno degli strumenti più diffusi nelle situazioni di difesa personale. La legge stabilisce che possa essere portato con sé liberamente, purché rispetti standard precisi: deve contenere sostanze irritanti in concentrazioni ridotte, non superare determinate dimensioni e non essere concepito per arrecare danni permanenti. Requisiti chiari sulla carta, ma che nella pratica generano dubbi su cosa sia consentito e cosa invece sia punibile.
Secondo le interpretazioni diffuse dagli esperti in materia, il punto più critico riguarda l’uso effettivo dello spray. La reazione deve essere proporzionata e giustificata da una minaccia concreta e immediata. È qui che entra in gioco la discrezionalità: in alcune situazioni le vittime hanno dimostrato di essersi difese da molestie o aggressioni, eppure si sono trovate a dover spiegare se la loro risposta fosse davvero necessaria. Il confine tra legittima difesa e uso improprio dello spray diventa così sottile da trasformarsi in motivo di ulteriore stress, proprio per chi avrebbe bisogno di tutela e non di giudizi.

Il paradosso delle vittime e il bisogno di maggiore chiarezza
Il problema più sentito riguarda la sensazione, sempre più diffusa, che a pagare siano proprio le vittime. Chi subisce una molestia e reagisce utilizzando lo spray teme di dover dimostrare di non aver esagerato, come se la propria incolumità dovesse essere valutata con distacco e non nel contesto reale dell’evento. Una condizione che molte persone vivono come un’ingiustizia, perché il timore di sbagliare rischia di essere più forte della volontà di difendersi.
La legge, pur concepita per evitare abusi, viene percepita come troppo complessa da interpretare nei momenti di emergenza. Ed è proprio questo a renderla una delle norme più discusse: serve a proteggere, ma crea incertezza su come farlo senza conseguenze. La necessità di un chiarimento appare evidente, così come quella di un percorso che metta davvero al centro chi subisce violenza. In attesa di un confronto più ampio, resta l’amara sensazione che, in molti casi, chi prova a difendersi finisca per sentirsi giudicato più dell’aggressore. Il prezzo lo pagano le vittime, ancora una volta le più esposte e le meno ascoltate.
