Categoria: Opinioni & Commenti

  • Candidato sindaco? No, grazie

    Candidato sindaco? No, grazie

    di Marco Guggiari

    Il fuggi fuggi generale che caratterizza la risposta alla ricerca di candidati sindaco nelle coalizioni di centrodestra e di centrosinistra per la guida del Comune di Como segnala un evidente problema. In un passato, anche recente, numerosi potenziali competitor erano facilmente individuati dai partiti, alle prese anzi con il problema inverso, quello della valutazione e della scelta di una sola personalità tra quelle che si facevano avanti. Prova ne sia la modalità delle cosiddette primarie a cui si affidava il centrosinistra e alla quale, almeno in un caso, ha fatto ricorso anche il centrodestra.

    Oggi invece, a sei mesi ormai dalle elezioni per il capoluogo, non passa settimana, talvolta non passa giorno, senza che gli schieramenti principali non incassino un garbato “no, grazie” da parte di questo o di quel potenziale candidato a cui hanno fatto la corte. La fotografia attuale ai nastri di partenza conferma questo stato delle cose: in campo, per succedere a Mario Landriscina, ci sarà certamente Alessandro Rapinese, espressione della sua stessa lista civica. Oltre a lui, per ora, invece non ci sono altri sicuri contendenti. Stefano Molinari, schierato da Fdi e suo segretario provinciale, ha lasciato intendere di essere pronto a ritirarsi in caso di accordo su un altro nome da parte dell’intero centrodestra. Il primo cittadino uscente Mario Landriscina, dal canto suo, pur tentato di correre per un secondo mandato, non ha ancora ufficialmente deciso se farlo, appoggiato dalla propria lista civica ed eventualmente dalla sola Lega. Torniamo dunque al punto di partenza.

    Perché, dopo la grande stagione dei sindaci vissuta in Italia per oltre un quarto di secolo dall’avvento dell’elezione diretta, questo filone sembra in via di esaurimento? I motivi di questa nuova stagione, che è invece tutta all’insegna del diniego, sono più d’uno e Como ne ha anche di propri specifici. La politica è molto debole, non prepara più amministratori pubblici come avveniva in passato, avviandoli a percorsi di progressione, veri cursus honorum dal basso. Gli enti locali, poi, dispongono di sempre minori risorse per dare seguito a progetti che possano diventare opere compiute. La stessa filiera con gli enti superiori, Regione e governo, utile e in qualche caso indispensabile per riuscire a “fare cose che si vedono”, è labile e spesso si interrompe nel momento decisivo. La burocrazia rallenta tutto in maniera molto pesante. I ricorsi a organi amministrativi preposti a compiti di controllo sono frequenti e determinano il più delle volte stop temporanei, anche prolungati, ai lavori. Aggiungiamo i rischi legali del mestiere. Tutto questo non incoraggia le disponibilità.

    Como poi si presenta in questo scorcio finale del quinquennio amministrativo come una città con gli stessi problemi di sempre irrisolti, una realtà che per la sua conclamata difficoltà a portare a casa risultati evidenti e che abbiano un’incidenza positiva nella vita dei comaschi, allontana le tentazioni di molti potenziali candidati al ruolo di sindaco. In tanti preferiscono rimanere in carica nei ruoli pubblici che già ricoprono, o continuare a svolgere le loro attività professionali.

    I partiti e le coalizioni maggiori adesso hanno fretta e rischiano di dover abbassare le loro ambizioni, di doversi accontentare nelle scelte che gli spettano, man mano che incassano no definitivi. Per questa serie di ragioni, unita all’estrema speranza dei comaschi di poter vivere in futuro in una città migliore, il voto della primavera 2022 si annuncia particolarmente complesso e carico di incognite.

    In ogni caso ci riguarda e mi piace sottolinearlo a chiusura di questo scritto, l’ultimo sul “Corriere di Como”, insieme con un grazie ai lettori per la loro attenzione e al direttore Mario Rapisarda per l’ospitalità.

  • Anno nuovo Problemi vecchi

    Anno nuovo Problemi vecchi

    di Adria Bartolich

    Anche questa volta l’inizio anno scolastico si preannuncia complicato per la solita ragione: le lezioni iniziano con gli organici incompleti. Mancano dirigenti, anche se si è appena concluso un travagliato concorso per dirigenti, mancano gli insegnanti (soprattutto di sostegno), segretari e bidelli.Il concorso si sta rivelando una modalità per reclutare il personale lenta e inadeguata. Le università che dovrebbero predisporre i corsi per le abilitazioni falcidiano gli aspiranti insegnanti sia in entrata, con test e i numeri chiusi, che in uscita, con selezioni che sono vere e proprie stragi.Come si sa le immissioni in ruolo avvengono attingendo i docenti per metà dalle graduatorie ad esaurimento, alcune delle quali sono vuote da tempo, e per metà dalle graduatorie dei concorsi.I concorsi, farraginoso sistema d’assunzione con una presunzione di oggettività che rimane tale, e la mobilità consentita sul territorio nazionale al personale, retaggi di un epoca certamente più prospera dell’attuale in cui la scuola fungeva da grande polmone occupazionale per la disoccupazione intellettuale soprattutto del Sud, sono i due nodi irrisolti che rischiano di ingessare il paese inchiodandolo alla sua storica inefficienza strutturale.La disoccupazione non si risolve con periodiche assunzioni di massa, indicendo concorsi con criteri che poi vengono regolarmente massacrati dai ricorsi e che hanno tempi biblici per diventare effettivi . Né è possibile consentire le assunzione in una regione qualsiasi, perché in quel territorio mancano insegnanti, e dopo poco permettere che si spostino in zone dove addirittura i docenti sono in esubero. Tutto ciò causa costi e disfunzioni che non possiamo più permetterci. Inoltre non riusciremo mai a fare fronte, né al divario di risultati dei ragazzi tra le aree del territorio nazionale, né con il resto d’Europa, con la scuola ministeriale. Le democrazie moderne non accentrano, decentrano, perchè la vicinanza alle istituzioni tra i problemi da governare crea soluzioni, mentre la distanza causa rallentamenti e intoppi. Tredici regioni italiane hanno chiesto un confronto sull’autonomia. Contrariamente alle cose confuse che sul tema si sentono, niente più della scuola, da un maggiore decentramento, trarrebbe vantaggi. Sia per la stabilità che ciò darebbe alle assunzioni che per la possibilità di Regioni ed enti locali di mettere in opera politiche scolastiche mirate e di sistema, con risultati verificabili, che la sola autonomia dei singoli istituti non consente appieno. Un dibattito sull’autonomia troppo ideologico rischia di farci perdere l’ennesima buona occasione .

  • Cellulari in classe: l’esempio della Francia

    Cellulari in classe: l’esempio della Francia

    di Adria Bartolich

    La  recente riforma della scuola promossa in Francia  dal governo Macron  adotta addirittura una misura legislativa  per impedire l’uso dei cellulari a scuola. Si tratta certamente di una scelta drastica che cerca di arginare in senso lato l’uso spropositato e certo improprio del cellulare  tra le nuove generazioni, e allo stesso tempo di garantire uno svolgimento meno caotico delle lezioni. Come si sa i cugini d’oltralpe sono mediamente più tranchant di noi, hanno una importante attitudine  rivoluzionaria alle spalle che consente loro di essere più radicali negli interventi, nonché una  lunga tradizione  di  stato centralista che consente di assumere decisioni  valide per tutti in  tempi brevi.  In realtà  già dal 2010, ai tempi del presidente Sarkozy, vige il divieto di utilizzare durante l’attività didattica gli smartphone. Ma il  supporto legislativo, secondo il ministro Jean-Michel Blanquer , rende possibile agli insegnanti il sequestro dell’apparecchio in caso di infrazione. Sembra a prima vista una sciocchezza,  ma in realtà è stato il problema più grosso nell’applicazione del divieto anche nelle nostre scuole, impartito attraverso una semplice circolare ministeriale. Cioè il livello di microconflittualità  che si incrementa sia con gli studenti che con i genitori, al momento in cui si procede con il sequestro dello strumento “illecito”. Impossibile infatti controllare che il cellulare rimanga davvero spento durante le lezioni. Ma anche sequestrarlo prima. E se il ragazzo giura e spergiura che non lo userà, come vietargli di tenerlo?  È o non è un diritto farlo? È un’appropriazione indebita? Per non parlare dei casi in cui si è fiondato a scuola il genitore inferocito, il cui intervento è stato fulmineamente  richiesto dall’alunno  via WhatsApp, che fa una piazzata all’insegnante o al dirigente scolastico. Per intenderci, una legge non risolve il problema, né della dipendenza dallo smartphone dei ragazzi, e a volte anche degli adulti, né metterà fine alle scopiazzature da Internet dei compiti in classe. Però una legge dà certamente una certezza a dirigenti e insegnanti sul  loro diritto di intervenire.  Di questi tempi, considerata la quantità di  rabbia e rancore che  i cittadini di questo Paese esprimono quotidianamente per tutti coloro che lavorano per lo Stato e si fanno carico di  fornire servizi, non sarebbe  poco. Se fossi il ministro ci penserei.

  • Come i Bronzi di Riace ma serve una visione

    Come i Bronzi di Riace ma serve una visione

    di Lorenzo Morandotti

    Il tesoro in monete d’oro di via Diaz è la versione lariana dei Bronzi di Riace, una scoperta che attira, catalizza, conquista, suscita curiosità e domande. Bastava vedere l’entusiasmo con cui i comaschi hanno risposto all’appello di Comune, Società Archeologica e Soprintendenza ieri pomeriggio per intuirlo: voglia di cultura, di sapere, di bellezza, di mistero anche. Una biblioteca così gremita (184 posti a sedere e tanti in piedi) in un giorno feriale per una lezione di archeologia viva  promette  bene anzi benissimo. Siamo forse a un punto di svolta, dopo tanti cieli foschi alla fine l’arcobaleno ha portato a scoprire una pentola d’oro? Presto per dirlo ma sperare non costa nulla. Dopo tante immagini di pavimentazioni di cocciopesto e murature e il racconto della costante lotta quotidiana  con la falda acquifera a suon di idrovore che ogni cantiere in città conosce bene, la sensazione  è che la scoperta delle monete equivalga a un tunnel spaziotemporale. Permette di capire meglio come vivevano i primi cittadini del capoluogo,  l’assetto della Como romana e ciò che le è seguito. Oltre al valore intrinseco della scoperta numismatica, c’è anche questo valore aggiunto che non è assolutamente secondario, e lo si capirà ancor più con i risultati delle analisi in corso e poi con la mostra  delle monete programmata al Museo Giovio nel 2020.

    Ma attenzione, perché se desideri e poi il sogno si avvera devi esserne all’altezza e non farti trovare impreparato: serve insomma  un salto di qualità, un percorso complessivo di rivalutazione del patrimonio archeologico cittadino, di quello già evidente e storicizzato e di quello che il tempo e la voglia di scavare offrono ai nostri occhi.  Va costruito un nuovo racconto, serve una visione d’insieme che possa far fruttare simili giacimenti anche sul fronte del turismo culturale. Si diceva dei Bronzi di Riace, ovviamente a mo’ di provocazione ma anche  di esempio. Ci aiuta a pensare letteralmente in grande in questi giorni su Facebook un disegno dell’architetto Francesco Murano, comasco noto nel mondo come maestro nell’illuminazione di grandi mostre d’arte.  Ha postato  una proposta di allestimento per i celebri bronzi. Murano in questi giorni cura le luci della mostra di Canova a Palazzo Braschi a Roma (aperta fino a marzo 2020) e  per  quella di Elliott Erwitt al Mudec di Milano (pure fino a   marzo) e quindi è autorità in materia sulla base dell’esperienza accumulata. È un esempio di quel “pensare in grande” che Como di fronte a ritrovamenti come il tesoro romano in monete  e in persistenze archeologiche di via Diaz, che apre nuove prospettive di indagine sulla città, deve potersi finalmente concedere. Capita e raggiunta, questa consapevolezza sarà il vero tesoro di Como.

  • Abele, Caino e l’abisso del male

    Abele, Caino e l’abisso del male

    di Agostino Clerici

    La storia di Caino che uccide il fratello Abele sta all’inizio della Bibbia come narrazione che cerca di spiegare il male che serpeggia tra gli uomini.

    Una sorta di archetipo simbolico delle possibili incarnazioni della violenza che trasforma il paradiso delle relazioni nell’inferno delle inimicizie.

    L’autore biblico non ha osato dipingere una scena che sarebbe stata ancora più truce e che forse era impensabile entro la sua logica.

    Se Caino avesse ucciso non il fratello ma la madre Eva, questo avrebbe significato la fine della stirpe umana. Eppure proprio questa ipotesi non contemplata nel racconto delle origini costituisce per noi l’abisso del male: un figlio o una figlia che uccide il padre o la madre.

    Ogni volta che viene innaturalmente reciso quel legame su cui si fonda la trasmissione stessa della vita, dentro di noi si genera proprio quell’angoscia primordiale che l’autore biblico non ha voluto narrare.

    La svolta decisa che ha preso l’indagine sulla morte di Laura Ziliani, 55 anni, ex vigile di Temù (Brescia), ha portato all’arresto in carcere delle due figlie Paola e Silvia Zani, rispettivamente di 19 e 27 anni, e del fidanzato della figlia maggiore Mirto Milano, studente universitario di 27 anni. Sarebbero questi tre i principali accusati della morte di Laura, che sarebbe stata uccisa nella notte tra il 7 e l’8 maggio nella sua abitazione di Temù. Questo almeno è quanto ipotizzato dagli inquirenti dopo oltre quattro mesi di indagini. Dunque, saremmo di fronte a due figlie che uccidono la madre, attirandola da Brescia nella casa di Temù, prendendo a pretesto addirittura la festa della mamma.

    Le fanno vedere la torta che hanno preparato per festeggiarla e poi durante la notte la uccidono, inscenano una sua passeggiata mattutina nei boschi e ne denunciano ai carabinieri la scomparsa, forse in modo eccessivamente repentino, destando di già qualche sospetto.

    I passi falsi secondo l’ipotesi investigativa sarebbero stati molti e i fatti sono ora vagliati negli interrogatori di garanzia dei tre arrestati.

    Il movente del delitto sarebbe di natura economica.

    Le due figlie e il fidanzato – sempre secondo gli inquirenti – avrebbero avuto un chiaro interesse a sostituirsi a Laura nell’amministrazione di un vasto patrimonio immobiliare, così da ricavarne danaro per risolvere i rispettivi problemi economici.

    Paola e Silvia, intercettate, a venti giorni dalla scomparsa della madre, avrebbero parlato di soldi che erano in arrivo così da poter comprare un’auto nuova e fare una vacanza.

    Ma non ci sono solo i soldi a motivare un’assurda violenza. C’è anche il pianto a connotare di finzione l’appello televisivo durante la trasmissione Chi l’ha visto in cui le due sorelle, nascoste dietro le mascherine, imploravano che chiunque avesse visto la madre si facesse vivo. La più grande malvagità evidentemente (sempre se le accuse verranno confermate) va a braccetto con le lacrime dell’ipocrisia. Per fortuna, in questa brutta storia, una luce c’è, e si chiama proprio Lucia, la terza figlia di Laura, 25 anni, rimasta estranea all’inchiesta. Mamma Laura era da sempre la sua roccia. Delle sorelle dice: «Non mi fidavo più di loro, ma non pensavo che arrivassero a fare una cosa così brutta». Si direbbe che Abele vive, anche se continua a essere vittima della violenza di Caino.

  • Assunzioni scolastiche, serve Mago Merlino

    Assunzioni scolastiche, serve Mago Merlino

    di Adria Bartolich

    Il sistema scolastico italiano ha un problema non piccolo da almeno dalla fine degli anni Novanta ed è la difficoltà di riempire le cattedre per tempo e con personale qualificato. Nonostante la buona volontà che sembra animare il ministro Bianchi, il quale aveva promesso la copertura di tutte le cattedre già per l’inizio dell’anno scolastico e sembrava avesse fatto tutte le mosse giuste per riuscirci, dopo un iniziale ottimismo e l’arrivo di una bella ondata di docenti di nomina ministeriale, il meccanismo si è nuovamente inceppato.

    Le nomine dagli altri livelli procedono con la lentezza del bradipo come sempre.

    Sistemi informatici che si inceppano, persone che devono essere chiamate, e soprattutto trovate, a mille chilometri di distanza, in una sorta di rincorsa al rigore amministrativo che poi si traduce nell’assunzione, temporanea, del primo che accetta.

    Senza nessuna selezione né conoscenza professionale del soggetto, se non quella di sapere qual è il suo titolo di studio, requisito fondamentale ma non certo l’unico necessario per insegnare, soprattutto all’altezza delle richieste del tempo che viviamo.

    Così, dopo averle provate tutte o quasi, siamo ancora nella situazione classica, cioè cattedre vuote e professori che mancano al Nord e insegnanti al Sud.

    Non si può nemmeno più dire al Centro Sud, perché pare che manchino anche a Roma. Insomma è un film già visto troppe volte perché il sistema scolastico sembra essere diventato, per quanto riguarda la gestione del personale, sono un pezzo dell’enorme apparato della pubblica amministrazione, nel quale si cerca di migliorare la propria posizione personale senza tenere conto della delicatezza del sistema nel quale ci si muove.

    Intendiamoci, molti insegnanti, anche se arrivano come pacchi postali sparati in tutta la penisola, non solo sono bravi ma hanno assolutamente chiaro che il loro è un compito difficile per svolgere il quale occorre essere dei seri professionisti.

    Il fatto che è che costoro, bravi insegnanti, seri e stimati, non possono essere confermati, e se lo sono, è solo per una serie di circostanze che nulla c’entrano con la qualità del loro lavoro; infatti, dal punto di vista dei diritti, sono assolutamente allo stesso livello di chi sceglie una provincia con un aeroporto per potere tornare a casa tutti week end, e a volte fermarsi lì e basta.

    Com’è noto Como non ha l’aeroporto e qui non ci vuole venire nessuno. Non è bello e nemmeno normale.

    Qualcosa non ha funzionato si dice, algoritmi, Gps o altro. Ogni volta non funziona qualcosa, invece quello che non va è proprio l’intero sistema di assunzione: ormai ha un livello di complessità che nemmeno Mago Merlino ci riuscirebbe.

    L’Associazione presidi chiede la chiamata da parte delle scuole.

    Il capo del sindacato Gilda gli risponde che è incostituzionale, e così pensa di chiudere la storia, ma il problema resta.

    Pensiamo pure a come tutelare i lavoratori  ma alla fine, prima o poi, andrà cambiata anche la norma della Costituzione che stabilisce l’assunzione per concorso la quale non ha impedito comunque,  fino ad ora, di assumere la maggior parte dei docenti senza.

  • A lezione in Riviera per la Statale Regina

    A lezione in Riviera per la Statale Regina

    di Marco Guggiari

    Sono i giorni del bicchiere pieno e vuoto a metà per la Statale Regina. La buona notizia è il passo avanti verso l’apertura del cantiere per la variante della Tremezzina. La cattiva notizia è la realtà attuale di una strada lunga 61 chilometri, da Como a Sorico, tuttora condizionata da strozzature che rendono penoso il viaggio. Migliaia di auto ogni giorno, che si moltiplicano durante la bella stagione, con la guida complicata da pullman e mezzi pesanti. La Regina, dati alla mano, è anche una delle vie più pericolose, ad alto tasso di incidenti. Quando poi piove, basta un po’ d’acqua ed è abbonata a frane e smottamenti. In quarant’anni si sono fatti tanti tunnel; il colpo grosso atteso da tempo è il percorso alternativo alla Tremezzina, in dirittura d’arrivo dopo il parere positivo espresso nei giorni scorsi dal Consiglio superiore dei lavori pubblici sul progetto definitivo. In questo, come in numerosi altri casi, sono state utili le azioni di protesta civile promosse dal comitato Pro Statale Regina, come’è anche stato riconosciuto. Non un populismo fine a se stesso, ma forme di forte sensibilizzazione finalizzate a stanare le istituzioni in modo propositivo. La saldatura ha prodotto i risultati. Quanto al resto, vale a dire la gestione dell’esistente, invece, ci si limita a stabilire fasce orarie per il transito dei mezzi pesanti, semafori intelligenti in corrispondenza delle strettoie e osservatori del traffico, i movieri. Oggi è Pasqua e sono gioie e dolori. Lo stesso varrà per i “ponti” delle prossime due settimane.  È emergenza, nonostante i citati stratagemmi. I sindaci, poi, non vogliono più pagare i movieri se la spesa non viene ripartita tra tutti i Comuni; l’Anas non lo fa e la Fai, l’associazione degli autotrasportatori, propone provocatoriamente: paghino un ticket tutti i veicoli che transitano lungo la Statale. Il mese scorso è stata anche avanzata l’idea di un “girone” a senso unico per i mezzi pesanti, durante l’estate e in altri periodi topici. Partenza da Como e rientro da Lecco. Immediata la levata di scudi da parte delle categorie interessate. Come sempre, occorre chiedersi: cosa fanno in altri luoghi turistici dalla viabilità angusta e con caratteristiche analoghe? Intanto, si sfrutta meglio l’acqua, come “metrò del mare”. Poi, per fare due esempi del 2018, lungo la Costiera Amalfitana, da aprile a novembre, vigeva il divieto di transito per gli autobus superiori a otto metri nei weekend e nei periodi di maggiore affluenza, oltre che la proibizione per i mezzi superiori ai 10,36 metri. Sulla Riviera Ligure, dalle 11 alle 22, il veto era stabilito per tutti gli autocarri commerciali sopra le nove tonnellate. E i pullman turistici potevano compiere due soli viaggi, andata e ritorno, nelle 24 ore. Qualcosa bisogna escogitare anche qui.

  • Concerti nei palazzi per svegliare Como

    Concerti nei palazzi per svegliare Como

    di Lorenzo Morandotti

    A Venezia, dove la settimana scorsa il Lario è andato in scena alla Mostra del Cinema per proporre la filiera di Lariowood al mercato delle produzioni cinematografiche, i concerti nei palazzi e nei cortili delle case più o meno nobili sono all’ordine del giorno. Quasi non ci si fa più caso. Da noi, a parte qualche lodevole iniziativa che ha ottenuto successo di pubblico e apprezzamenti per la proposta culturale, è ancora un terreno da coltivare.

    A Venezia naturalmente tengono banco le note musicali del Settecento con il “prete rosso” Antonio Vivaldi a farla da padrone. Sulla riva degli Schiavoni tanto per fare un esempio eclatante la chiesa della Pietà nel sestiere Castello ospita con regolarità le sue celebri Quattro stagioni dalla sua opera  “Il cimento dell’armonia e dell’inventione” con l’ensemble “I virtuosi italiani”.

    Costo 30 euro. Certo Como non è Venezia e a ben vedere è meglio non lo diventi se il turismo deve essere di massa, mordi e fuggi e superficiale. Ma le occasioni per una ripartenza culturale ci sono. Perché ad esempio non valorizzare le tante esperienze musicali coltivate in Conservatorio e nelle altre scuole e accademie analoghe per intensificare  in modo sistematico come fa Venezia la strada dei concerti nei luoghi di attrazione?

    In Laguna ad esempio si suona  anche in costume del XVIII secolo con la stagione dei concerti dei “Musici veneziani” nel prestigioso salone capitolare della Scuola Grande di San Teodoro. Perché ad esempio non inventarsi nei luoghi voltiani rappresentazioni teatrali dedicate agli esperimenti del grande fisico, magari in costume, con accorgimenti multimediali, che possano attrarre anche il pubblico dei non specialisti? E rimanendo alla musica, perché non dedicare a un compositore come Marco Enrico Bossi un ciclo di concerti anche nell’istituto Carducci visto che l’organo del salone Musa fu pensato proprio per il compositore lariano? Concerti nei palazzi proposti con continuità e biglietti di ingresso popolari potrebbero essere un nuovo e gradito incentivo per svegliare la sonnolenta Como sul fronte del turismo culturale.

  • Belle scatole ma vuote

    Belle scatole ma vuote

    di Lorenzo Morandotti

    Dopo un anno e mezzo di incertezze, e di attese, le aspettative sono alte, per un ritorno in grande stile firmato dalla fiera sull’arredamento e design tra le più importanti al mondo, nonché la più prestigiosa. Stiamo parlando del Salone del Mobile che è in scena fino al 10 settembre (informazioni susalonemilano.it). Il Lario, al netto della buona volontà di imprenditori e operatori, non brilla per eventi satellite che pure avrebbero motivato un indotto sul fronte del turismo culturale.

    A parziale scusante va detto che la pandemia ha rallentato tutto, comprese la capacità di progettare e la voglia di gettare il cuore oltre l’ostacolo, anche se non c’è molto da perdere e le navi sono state bruciate per usare una antica metafora erroneamente attribuita al conquistador spagnolo  Hernàn Cortés che come noto i vascelli li affondò per motivare la sua truppa alla conquista del Messico. La filiera del legno arredo è solo uno dei tanti esempi delle occasioni non sfruttate appieno anche se in condizioni di indigente emergenza ogni santo cui votarsi può essere manna risolutiva o almeno tamponare le ferite.

    Altro caso è quello dei luoghi che rischiano di fungere da mere  scatole vuote da affittare al primo  facoltoso offerente senza cioè contare su  una pianificazione di lunga durata e  su una riqualificazione virtuosa. Pensiamo al lungolago di Como, al centro di eterne promesse e speranze di rinnovamento, e al caso Villa Olmo.

    Smettiamo di considerare con retorica soddisfazione la storica dimora neoclassica affacciata sul lago come la “Casa della cultura” di Como, dato che al netto dei meritori tentativi di rivitalizzare lo zombie  come il festival promosso dal Teatro Sociale si regge  su feste private e promesse mai realizzate di mirabolanti gestioni. Il Lario insomma come bello scenario per set dal sapore hollywoodiano, sistema di  scatole vuote  di contenuti, belle per carità, frutto di memorie ed eredità antiche, da offrire al visitatore di turno, senza il valore aggiunto di una spinta forte a progettare,   dare segni capaci di travalicare il presente e a offrirsi come occasioni di futuro. Pur forte di una solida vocazione artigiana, anche con il Salone di Milano tutto sommato il Lario rischierebbe  di essere appunto solo un satellite. Senza memoria non c’è futuro: proprio a Villa Olmo, sono stati costruiti tasselli storici del design come (correva l’anno 1957) la mostra Colori e forme della casa d’oggi. Piccolo dettaglio: allora c’erano in circolazione maestri come Gio Ponti e Ico Parisi.

  • Bocciati in aumento, problema strutturale

    Bocciati in aumento, problema strutturale

    di Adria Bartolich

    I dati non sono ancora ufficiali, ma pare che quest’anno ci sia stata un’impennata  di bocciati nelle scuole in tutti gli ordini, in particolare nel biennio delle superiori. Colpa della pandemia, si dice. L’anno scorso l’invito del ministro Azzolina a non bocciare ne aveva limitato il numero. Quest’anno, con la liberalizzazione delle bocciature, il numero dei respinti avrà un incremento, così come ci sarà un aumento dei debiti da recuperare.

    Ora, a meno che il virus abbia tra gli effetti anche la diffusione  del rimbambimento, effetto che mi pare di dovere escludere non essendo suffragato da elementi scientificamente provati, il dubbio che  viene è quello di trovarci, invece, di fronte all’ampliamento di un problema preesistente al Covid, che quest’ultimo ha solamente fatto emergere amplificandolo.

    L’aumento dei respinti nella cosiddetta scuola dell’obbligo, che ricordo va dall’avvio della scuola primaria ai primi due anni di scuola superiore, segnala una cosa ben diversa dalla semplice indolenza o disimpegno, che almeno teoricamente non avrebbe senso che esistesse solo nella Dad e non nella scuola in presenza: indica infatti quanto pesino le situazioni di provenienza dei ragazzi nel loro rendimento scolastico e probabilmente anche le differenze territoriali nella possibilità di intervento  sui problemi delle scuole.

    Il campione di istituti utilizzato dal Ministero per la rilevazione provvisoria comprende 200 scuole di Emilia Romagna, Marche, Veneto, Puglia, Lombardia e Campania, per un totale di 11.779 studenti.

    Mettendo insieme il dato dei respinti con quello dei debiti da recuperare, arriviamo al 37 % di alunni con difficoltà di apprendimento solo alle superiori, cioè più di 1 su 3.

    Un folto gruppo di costoro pare avere completamente mollato e smesso di frequentare . Il maggior numero di ripetenti si registra nei licei e negli istituti professionali, vanno meglio quelli tecnici. A questo aggiungiamo che già i numeri della dispersione scolastica, in Italia, sono più alti della media europea anche senza Covid e, seppur migliorati negli ultimi anni, vanno dal 9,6% nel nord-est al 16,7% nel sud con una media del 13% contro il 10 % dell’Unione europea. Certo, ci potrebbero essere stati dei contraccolpi psicologici, anzi, sicuramente ci sono stati, ma il tema centrale sembra essere quello di un problema strutturale che la pandemia ha solo acuito, e che cosa abbiano potuto fare le scuole, e i servizi di prevenzione del disagio scolastico, per supportare gli studenti in questa situazione.