di Adria Bartolich
La recente riforma della scuola promossa in Francia dal governo Macron adotta addirittura una misura legislativa per impedire l’uso dei cellulari a scuola. Si tratta certamente di una scelta drastica che cerca di arginare in senso lato l’uso spropositato e certo improprio del cellulare tra le nuove generazioni, e allo stesso tempo di garantire uno svolgimento meno caotico delle lezioni. Come si sa i cugini d’oltralpe sono mediamente più tranchant di noi, hanno una importante attitudine rivoluzionaria alle spalle che consente loro di essere più radicali negli interventi, nonché una lunga tradizione di stato centralista che consente di assumere decisioni valide per tutti in tempi brevi. In realtà già dal 2010, ai tempi del presidente Sarkozy, vige il divieto di utilizzare durante l’attività didattica gli smartphone. Ma il supporto legislativo, secondo il ministro Jean-Michel Blanquer , rende possibile agli insegnanti il sequestro dell’apparecchio in caso di infrazione. Sembra a prima vista una sciocchezza, ma in realtà è stato il problema più grosso nell’applicazione del divieto anche nelle nostre scuole, impartito attraverso una semplice circolare ministeriale. Cioè il livello di microconflittualità che si incrementa sia con gli studenti che con i genitori, al momento in cui si procede con il sequestro dello strumento “illecito”. Impossibile infatti controllare che il cellulare rimanga davvero spento durante le lezioni. Ma anche sequestrarlo prima. E se il ragazzo giura e spergiura che non lo userà, come vietargli di tenerlo? È o non è un diritto farlo? È un’appropriazione indebita? Per non parlare dei casi in cui si è fiondato a scuola il genitore inferocito, il cui intervento è stato fulmineamente richiesto dall’alunno via WhatsApp, che fa una piazzata all’insegnante o al dirigente scolastico. Per intenderci, una legge non risolve il problema, né della dipendenza dallo smartphone dei ragazzi, e a volte anche degli adulti, né metterà fine alle scopiazzature da Internet dei compiti in classe. Però una legge dà certamente una certezza a dirigenti e insegnanti sul loro diritto di intervenire. Di questi tempi, considerata la quantità di rabbia e rancore che i cittadini di questo Paese esprimono quotidianamente per tutti coloro che lavorano per lo Stato e si fanno carico di fornire servizi, non sarebbe poco. Se fossi il ministro ci penserei.
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