Quello che resta lo raccontano i poeti

di Lorenzo Morandotti
Per oltre due mesi abbiamo usato in lungo e in largo l’espressione «al tempo di» nelle molteplici occasioni in cui è toccato parlare di pandemia e argomenti ad essa correlati. Non sempre ci si è ricordati di mandare un pensiero di gratitudine a chi ha per primo contribuito a diffondere nel mondo quello schema di parole, ossia il premio Nobel per la letteratura del 1982 Gabriel García Márquez con il suo celebre romanzo L’amore al tempo del colera (titolo originale El amor en los tiempos del cólera) che uscì nel dicembre del 1985.
Gli scrittori sanno benissimo difendersi da soli: precorrono i tempi e restano nella memoria. Ma la questione è un’altra: le parole sono sempre importanti (e a volte di fronte a tanti abusi e strafalcioni viene da ripeterlo alzando la voce come faceva Nanni Moretti in una celebre scena di Palombella rossa). Le parole pesano, a maggior ragione se diventano di pubblico dominio.
Questo per dire che se rimarrà qualcosa oltre i numeri crudi a raccontare la realtà di questo anno particolare dovremo interpellare non solo medici e giuristi ed economisti, ma anche gli scrittori. Da lunedì hanno riaperto finalmente le librerie, sperando che possano sopravvivere allo tsunami economico, e gli editori (quelli che rimarranno dopo la grande crisi) temono di essere invasi da valanghe di testi nati durante la pandemia e che non parlano d’altro: famiglie e amanti divisi, studenti con le ali tarpate, inni di Mameli sui balconi, alcool e lievito introvabili, sirene spiegate, anziani che muoiono soli.
Ogni tragedia ha la letteratura che merita, vedremo se nascerà un altro Remarque o un altro Hemingway su questo fronte. «Ai posteri / l’ardua sentenza», giusto per citare un verso entrato nell’uso comune (a proposito, nel 2021 ci sarà il bicentenario del 5 maggio manzoniano, chissà che alla Braidense non venga in mente di esporre il manoscritto dell’ode). Intanto non dimentichiamo quello che disse un altro poeta, Holderlin, il maggiore lirico tedesco dopo Goethe, nella poesia Andenken, Ritorno: «ciò che resta lo fondano i poeti».