Anziani stanchi di vivere e femminicidi silenziosi

di Mario Guidotti

Ci sono femminicidi che passano inosservati, che si fa
persino fatica a definire tali, ma che altro non sono, omicidi di genere, anche
se stavolta non sono uomini che odiano le donne, ma forse non sanno come
amarle, fino in fondo. Si trovano tra le cronache tristi. Anziane coppie che si
uccidono insieme in età avanzata, per malattia, per disperazione, in realtà
solo per solitudine.

È successo anche le settimane scorse: due coppie di coniugi
nel ricco Trentino ed in Emilia, quindi non storie di degrado, neppure di
povertà. Ma perché femminicidi? Perché alla fine, entrambi consenzienti o no, è
lui che uccide lei, salvo poi rivolgere l’arma contro se stesso.  Beh, si dirà, l’uomo possiede le armi, oppure
anche che il maschio trova il coraggio per farlo. Ma l’analisi non è completa,
anzi è superficiale. Perché a ben guardare ci vorrebbe più coraggio ad andare
avanti, nella malattia, nel dolore, nell’invalidità. La verità è che mai la
moglie uccide il marito anziano e malato e poi si toglie a sua volta la vita.
La donna resiste, la donna si prende cura, dà tutta se stessa, non scappa.

A proposito di abbandoni, che sono tra le peggiori miserie
che si vedono in questo lavoro, a volte i padri non resistono alle gravi
disabilità dei figli, magari congenite o dopo un grave trauma o una severa
malattia, e vanno via da tanto dolore, mai lo fanno le mamme. Ma stiamo andando
fuori tema. Vero è che agli uomini mancano i sentimenti ed i gesti necessari
nelle fasi più avanzate delle malattie, che sono poi quelli più richiesti: il
lavare, il pulire, il nutrire, il prendersi cura dei bisogni più basici
insomma. La donna possiede queste capacità. Forse non è un caso che il buon Dio
abbia scelto lei per procreare.

L’altro dato che non può sfuggire è la voglia di farla
finita di questi anziani, e forse non solo di quelli che portano a termine
gesti tanto clamorosi. La quotidianità è fatta di vecchi che si lasciano
andare, che non assumono più le cure, che non mangiano più, che non parlano
più, che vogliono spegnersi nell’ombra.

È solitudine? Forse, ma non solo. Ci sono anziani che anche
vivendo soli sono brillantissimi ed altri che pur con il coniuge non ce la
fanno ad accettare il degrado fisico. È paura allora forse? E di che cosa, di
morire? Allora perché andarci incontro più velocemente? Della malattia,
dell’invalidità? Gli ospedali traboccano di malati , oncologici e non solo, che
firmerebbero  e pagherebbero per
invecchiare, per veder crescere i propri figli e nipoti. Perché dopo una vita
piena molti non accettano il declino? Forse le risposte verranno dalla
neurobiologia, cioè da scienze che studiano quali cellule, quali molecole siano
veramente vitali, e quali ci portano invece a morire anche prima del tempo.

Comunque sia, una lezione che ci lasciano queste storie
tristi è l’importanza del dono di ogni singolo giorno vissuto in salute ed in
pienezza. In troppi passano l’esistenza a lamentarsi della quotidianità, della
solita vita, salvo poi di colpo accorgersi che non era così male.

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