di Adria Bartolich
Spiace dovere tornare sulla triste vicenda del bambino caduto dalle scale in una scuola primaria a Milano un anno e mezzo fa. I fatti: il bimbo uscito per andare ai servizi con regolare permesso della maestra, sentendo rumori provenienti dal basso, si è arrampicato su una sedia trovata in corridoio e sporgendosi è caduto nella tromba della scale.
Pochi giorni fa ha patteggiato due anni di reclusione la collaboratrice scolastica che avrebbe dovuto vigilare in corridoio, la quale aveva abbandonato la postazione perché occupata al cellulare per una telefonata di carattere personale per un paio di minuti, che purtroppo sono stati sufficienti perché accadesse la tragedia, e non aveva provveduto a rimuovere la sedia con le rotelle utilizzata dal bambino. E fin qui nulla da dire, se chi doveva vigilare non era presente, è chiaro che non ha adempiuto al suo dovere.
La cosa che invece lascia abbastanza sconcertati, almeno per quanto ci viene riferito dalla stampa, è la condanna emessa nel processo con rito abbreviato nei confronti di una delle due maestre presenti in classe – un anno di carcere, con sospensione condizionale della pena, per omicidio colposo – e il rinvio a giudizio dell’altra insegnante che aveva scelto il rito ordinario.
La stampa non specifica a che titolo fossero presenti due insegnanti in classe e se la seconda insegnante fosse o meno di sostegno. La sentenza attribuirebbe la responsabilità alla maestra per avere consentito l’uscita del bambino, violando così il regolamento dell’Istituto, e la direttiva della scuola avente ad oggetto la vigilanza sugli alunni, nel quale sembra essere specificato il divieto di “recarsi ai servizi igienici fuori dall’orario programmato.”
Se fosse così mi pare chiaro che il compito delle insegnanti sarebbe più simile a quello di un vigile che a quello di un docente.
È chiaro che stiamo discutendo di una situazione limite, ma a fronte della collocazione al piano alto di una classe della scuola primaria, con scale dotate di una semplice ringhiera, una sedia con le ruote lasciata in corridoio, la mancata vigilanza della collaboratrice, seppur per poco, viene condannata una maestra (o forse tutte e due, non lo sappiamo ancora visto che il processo alla seconda insegnante si aprirà l’11 luglio) perché ha lasciato uscire il bambino per andare ai servizi.
Ora, è evidente che se un regolamento d’istituto può rappresentare una questione dirimente addirittura per un caso di omicidio colposo, la stesura dei regolamenti d’ora in poi diventerà una questione molto complicata. Inoltre ci chiediamo se fosse tanto perentorio da vietare in ogni modo l’uscita al di fuori degli orari prestabiliti: in questo caso sarebbe anche vagamente folle, visto che impedire a un bambino di fare la pipì o di vomitare se ne abbia la necessità, sarebbe alquanto assurdo, soprattutto perché sono situazioni che si verificano regolarmente e, aspetto, non secondario, perché la scuola non è un carcere.
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