di Lorenzo Morandotti
Sperando che la seconda ondata del coronavirus non arrivi né in Lombardia né altrove, questa fase di ripartenza estiva dovrebbe essere l’occasione buona per sfruttare il tempo concesso in maniera costruttiva. La cultura con le sue varie connessioni con il turismo, settore strategico per questo territorio, già prima della pandemia soffriva di varie carenze strutturali (assenza di pianificazione, mappatura provvisoria delle forze in campo), prima di tutte l’incapacità di fare squadra (magari con energie meno disperse con conseguenti economie di scala).
Una lezione che spero sia stata capita e che ora impone di riprendere il cammino dando a tutti le condizioni di poter dimostrare il proprio talento, ovviamente ascoltandone le ragioni e legandole il più possibile in una rete che superi le barriere ideologiche e divisioni che non hanno più ragione d’essere.
Alcuni fenomeni degli ultimi tempi vanno in questa direzione – i territori di Como e Lecco si sono alleati con un calendario unico di eventi, come se fossero tornati unica provincia come prima degli anni Novanta – ma è presto per cantar vittoria.
La chiave delle settimane che ci siamo lasciati alle spalle è il magico binomio “stati generali” già da tempo speso sul fronte della cultura comasca: non passa assessore che non annunci l’esigenza di ascoltare il territorio convocandolo a palazzo salvo poi dover fare i conti con i soldi che mancano, e sul Lario anche sulla endemica incapacità di lavorare in gruppo su pochi ma densi progetti. Non c’è tema, argomento, ambito che non faccia imbattere in una quantità di soggetti che procedono sullo stesso sentiero ma rigorosamente ognun per sé, in parallelo, senza mai toccarsi, talvolta guardandosi in cagnesco se non mettendosi programmaticamente i bastoni fra le ruote o le mani in faccia metaforicamente parlando (ma è accaduto anche di peggio).
Non è libero mercato, è ridicola guerra fra poveri. Così non si andava da nessuna parte prima e ora che tutto è peggiorato, dai rapporti umani al tessuto economico, ora che il Paese intero è a un bivio, il rischio è di vanificare quel poco o tanto che i singoli pure hanno realizzato di buono. Nel settore della bellezza e del sapere che dovrebbe essere fiore all’occhiello di un Paese che ha avuto in eredità dal passato oltre la metà dei beni culturali del pianeta, gli stati generali sarebbero da indire in permanenza, a tappeto e soprattutto a tutela dei più fragili in campo, i più esposti alla selezione darwiniana che porterà a prevalere non i migliori in assoluto ma chi saprà meglio adattarsi.
Dal basso come suol dirsi si moltiplicano le iniziative per fare coesione. Ad esempio manifestazioni come quella dei teatranti del 15 giugno davanti al Teatro Sociale di Como, che con suoni e colori hanno portato in piazza, e una delle più belle d’Italia, le difficoltà di un settore tra i più fiaccati dalla crisi peggiorata dal virus.
Compito della buona politica, se ce ne è ancora traccia, sarebbe ascoltare e indirizzare le energie in campo, mentre sarebbe compito del territorio nel suo complesso trovare le risorse adeguate per non far spegnere o addirittura morire quelle energie.
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