Il triste record dei nostri giovani

di Adria Bartolich
Un recente rapporto dell’Unicef ci attribuisce un triste record per presenza di Neet (Not in education, employment or training): in altre parole ragazzi che non studiano, non lavorano e non seguono nessun percorso di formazione. Siamo i primi in Europa (23,4 %), seguiti da Grecia (19,5%), Bulgaria (18,1%), Romania (17%).
Tra le regioni italiane la punta massima di Neet si tocca in Sicilia (38,6%), poi in Calabria (36,2%) e Campania (35,9%). Il Sud nel suo complesso si attesta su una media del 34%, il Centro al 19,5% , il Nord al 15,5%.
Quasi la metà di costoro pare abbia conseguito un diploma di scuola secondaria superiore e l’11 % è addirittura laureato. Si tratta di numeri allarmanti e segnati in modo significativo dalla disoccupazione giovanile, altro indicatore che purtroppo ci vede posizionati al terzo posto dopo Grecia e Spagna. Sul dato nazionale complessivo incidono in modo drammatico i Neet del Sud, con punte massime in Sicilia (53%) e Calabria (52,7 %). Se è vero che il titolo di studio garantisce maggiore occupabilità, visto che l’81,3% dei laureati a trent’anni ha trovato un lavoro, mentre per i diplomati la percentuale si abbassa al 73%, e per coloro che sono in possesso della licenza media cala al 57, 3%, è ragionevole pensare che, al di là di scelte o condizioni soggettive, quello che fa la differenza sia la collocazione territoriale del Neet ma anche il tipo di titolo di studio. In particolare pare sia più complicato trovare lavoro per i laureati in lingue (56% di disoccupati ) e a seguire per coloro che hanno conseguito lauree a indirizzo sociale e umanistico. Se a tutto ciò aggiungiamo che nei Paesi con il maggior numero di Neet si alza considerevolmente anche la percentuale dei giovani tra i 25 e i 30 anni che vive ancora con i genitori, in Italia il 46 %, Spagna oltre il 37% e Grecia più del 51%, abbiamo il quadro abbastanza desolante di persone ormai in età adulta mantenute dalle famiglie.
Si tratta di un fenomeno inquietante, non solo perchè pensare a giovani senza lavoro mette tristezza e significa per molti di loro essere impediti nella loro crescita personale e sociale, ma anche perchè vedere molti ragazzi sui quali sono state investite risorse (dato che in molti casi hanno studiato) siano parcheggiati in uno stato di apatia, rende l’idea di una situazione di totale mancanza di prospettive e speranza.
O forse di chi attende un’occupazione corrispondente al titolo di studio, considerandola un diritto. In sintesi un Paese carico di aspettative ma con pochi mezzi.