La perdita d’identità è dipinta sui quadri

La perdita d’identità è dipinta sui quadri

di Marco Guggiari

Sventato lo “scippo” di nove dipinti della quadreria
dell’ospedale Sant’Anna, possiamo ragionare a bocce ferme sulla più generale
questione della perdita d’identità di Como. Il caso dei quadri è noto: l’Ats
Insubria stava per trasferirli a Varese, dalla sede lariana della Fondazione Rusca,
che fa la cortesia di ospitarli, con le motivazioni di poterli esporre in un
ambiente idoneo e sicuro nella vicina Città Giardino. Il consigliere regionale
comasco del Pd Angelo Orsenigo ha presentato un’interrogazione in merito e ha
portato alla luce la vicenda, scongiurando di fatto il trasloco.

Meglio così, ma l’episodio è emblematico di una
significativa decadenza di Como, iniziata ormai diversi decenni fa e culminata
nella perdita dell’ospedale provinciale, il Sant’Anna appunto, passato dal
territorio del capoluogo a San Fermo della Battaglia. Una privazione insieme
materiale e immateriale, che si è senza dubbio tradotta nell’impoverimento di
“peso” della città e, visibilmente, in un clamoroso vantaggio economico per il
Comune di San Fermo, le cui casse debordano dei soldi incassati per l’autosilo:
in otto anni 7,6 milioni di euro.

Nella sanità, in particolare, sembra che il capoluogo
lariano si sia ritagliato un ruolo perfetto di Cenerentola. Pensiamo allo
spostamento, prima a Parma e poi a Lodi, dello storico archivio dell’ospedale
psichiatrico San Martino, con tutto il suo carico di umanità dolente. Pensiamo
all’episodio dei dipinti che stavano per esserci “soffiati”. Un’eventualità,
ora evitata, che la dice lunga però sulla nostra scarsa considerazione riguardo
al patrimonio cittadino, alla generosità dei donatori, all’impegno di chi ha
restaurato la quadreria, in primis il compianto presidente della Famiglia
Comasca, Cesare Bordoli. E, naturalmente, svela anche la nostra incapacità di
rendere visibile e accessibile a tutti una collezione straordinaria costituita
da 238 opere.

Potremmo proseguire, pensando alla perdita della sede
decentrata del Politecnico, a causa della mancata realizzazione del campus
proprio sulla collina del San Martino. O, per dirne un’altra, pensando a come
sia passata sotto silenzio la chiusura della sede comasca della Banca d’Italia.

Può non piacere ammetterlo, ma sono tutti segnali
dell’impoverimento di ruolo della nostra città. Se non abbiamo spazi, se non
prendiamo iniziative, se non compiamo opere, se perdiamo risorse già assegnate
o possibili per finalizzazioni specifiche, se non abbiamo la grinta e
l’orgoglio che derivano da un forte senso di appartenenza, se manchiamo di
tutto questo, allora è chiaro che siamo esposti ad ogni refolo di vento. E
allora, chi può prende, o prende il nostro posto e lo fa in modo formalmente
legittimo, complici le nostre inadeguatezze.