L’ex comandante dei Ris: «A Erba una strage in stile commando»

I capo dei carabinieri intervenne nelle indagini senza tuttavia trovare tracce che potessero inchiodare Rosa e Olindo: «Agirono con i guanti e coperti con sacchetti di plastica»Luciano Garofano ha inserito gli omicidi di via Diaz tra gli episodi del suo ultimo libro, l’ennesimo sulla tragedia«Rosa e Olindo non lasciarono Dna né impronte digitali perché avevano indossato guanti bianchi» e «perché si erano protetti dagli schizzi di sangue che avevano macchiato pareti e tende» dopo «essersi coperti la faccia con sacchetti di plastica».L’ex comandante dei Ris di Parma, Luciano Garofano, l’uomo che con i suoi uomini intervenne nella “casa del ghiaccio” di via Diaz nei giorni che se seguirono la strage di Erba – senza però trovare elementi utili a inchiodare i coniugi Romano (tanto da finire con l’essere citato tra i testimoni anche dalla difesa pur essendo un consulente della procura) – ha inserito la vicenda che ha portato l’orrore brianzolo in tutte le case degli italiani tra i casi del suo ultimo libro, Uomini che uccidono le donne (Rizzoli, scritto con i giornalisti Paul Russell e Andrea Vogt). Una storia, quella di Erba – e quello appena citato è l’ennesimo libro che ne ripercorre le dinamiche – in cui tuttavia i Ris non giocarono un ruolo chiave. Anche per colpa dell’acqua versata dai vigili del fuoco che probabilmente cancellò molte tracce, e questo nonostante «agimmo – scrive Garofano – con estrema attenzione e meticolosità in ogni angolo dell’appartamento dei Romano alla ricerca di tracce visibili e invisibili che potessero essere ricondotte alle cinque vittime». E invece, «nella casa e nel camper non fu trovata nessuna traccia che li mettesse in relazione con quei delitti». Una situazione anomala, senza dubbio, cavalcata dalla difesa di Rosa e Olindo nel rivendicare l’innocenza degli imputati. Interrogativi cui tuttavia lo stesso Garofano tenta di dare una spiegazione, ovvero quella dei guanti e del sacchetto in testa per evitare di imbrattarsi di sangue. Gli abiti poi, come è noto, vennero gettati – secondo il racconto di Olindo nella sua confessione poi ritrattata – in cassonetti della spazzatura. Eppure, anche lo stesso ex comandante dei Ris, che il caso l’ha seguito molto da vicino, nelle 21 pagine dedicate alla strage, non si spinge a prendere una posizione netta di colpevolezza, lasciando aleggiare qualche dubbio: «La dinamica lascia in sospeso una domanda interessante – dice Garofano – Da dove fuggirono gli assalitori? L’unica altra via d’uscita praticabile sarebbe stata la terrazza». Quella insomma che conduce direttamente in via Diaz. Salvo poi chiosare dicendo che «furono Rosa e Olindo a fornire agli investigatori le risposte che non erano riusciti a trovare», ovvero che passarono semplicemente dalla porta d’ingresso e da lì nella lavanderia, ma «con perfetta coordinazione» che permise loro di «entrare mettendo i piedi su un ampio tappeto che avevano steso appositamente sul pavimento» per poi «spogliarsi nudi posando gli indumenti sul tappeto». «Caricarono tutto sull’auto e partirono – prosegue Garofano – mentre l’appartamento dei loro tormentatori prendeva fuoco alle loro spalle». Così, secondo Garofano, si spiega l’assenza di tracce nella lavanderia di casa Romano. E, come detto, grazie a guanti e a sacchetti di plastica a coprire il viso, si spiega anche l’assenza di elementi che possano ricondurre a Rosa e Olindo nei luoghi in cui si consumò la strage. Che per Garofano, senza la presenza del supertestimone Mario Frigerio, sarebbe stata tranquillamente attribuibile a un «attacco in stile commando» che «faceva pensare al crimine organizzato».