«Quell’inverno in Irpinia con la gente sotto le macerie»
Parla Osvaldo Cappelletti, commissario provinciale della Croce RossaHa la concretezza tipica comasca e brianzola, la stessa fresca passione che lo anima da una vita, la modestia che gli fa raccomandare di continuo: «Non parli di me. Dica invece del lavoro di tutti i volontari del territorio comasco».In più, ha la bonomia di chi tende a vedere positivo. A costruire, perché per distruggere basta un brontolìo della natura.L’incontro avviene in città, nella sede del comitato provinciale della Croce Rossa di via Italia Libera. Osvaldo Cappelletti, classe1938, residente a Capiago, entra in ufficio e nota subito i dispacci del nuovo allarme neve. Allarga le braccia: «Ci siamo un’altra volta».Le emergenze sono il suo pane quotidiano e l’occasione della nostra chiacchierata è il trentesimo anniversario del terremoto in Irpinia: quasi 3mila morti, 9mila feriti, 280mila sfollati.Cappelletti c’era. «Prima di me – ricorda – da qui partì una trentina di volontari con due ambulanze. Noi, intanto, preparavamo derrate alimentari, tende e vestiario».All’epoca la Protezione Civile non esisteva ancora. Nacque proprio dopo quell’immane disastro e in seguito a una sfuriata dell’allora presidente della Repubblica Sandro Pertini. Fino a lì i volontari della Croce Rossa non si occupavano soltanto di aspetti strettamente sanitari. Facevano di tutto, comprese le ricerche dei dispersi, impugnando badili e picconi. «Trovammo una situazione apocalittica. Ovunque c’erano macerie e distruzione. C’era ancora gente sotto le case crollate, i morti e i vivi», rievoca Cappelletti.Faceva già freddo a Sant’Angelo dei Lombardi e negli altri poveri paesi dove la terra aveva tremato. «In questa, come in altre dolorose circostanze, occorre guardarsi intorno e verificare tutte le necessità che ci sono – spiega – C’è chi chiede scarpe, pantaloni…».Difficile arpionare il commissario della Croce Rossa a quel solo tragico evento. I suoi ricordi vanno all’alluvione dell’87 in Valtellina: «In quella circostanza la protezione Civile c’era già. Si lavorava meglio. Ma si arrivava fino a Sondrio e poi era il deserto. Mancava il respiro. I nostri volontari, anche allora, furono straordinari: bastava un fax, una telefonata e arrivavano in sede a frotte, perfino troppi. Dovevo quasi lottare per lasciare a casa una parte di loro».Cappelletti rammenta anche cosa colpiva di più in Irpinia, come in altre situazioni simili: «I bambini spaesati, che non sanno dove andare. Disegnavano soltanto ambulanze e camion dei pompieri…».L’evoluzione dei soccorsi, fino a giungere ai giorni nostri, è stata notevole. Per combattere il freddo non ci sono solo le coperte, ma anche stufe e gruppi elettrogeni. La colonna mobile della Protezione Civile dispone di una cucina che in trenta minuti è in grado di sfornare pasti caldi per 150 persone. «Prima – osserva quasi tra sè il commissario della Croce Rossa – il nostro motto era che bisognava fare presto per salvare il salvabile».Sollecitato sul suo esordio da volontario, Cappelletti racconta: «Ho iniziato a Cantù. Avevo fatto il servizio militare nei vigili del fuoco. La Croce Rossa è diventata la mia seconda famiglia, al punto che se stavo a casa mia moglie si preoccupava: “Sei ammalato?”, mi chiedeva. La mia fortuna è stata avere un titolare che, quando lavoravo, davanti a un’emergenza aveva la sensibilità di dirmi: “Vai pure”. Non mi ha mai trattenuto una lira. Era il suo modo di fare volontariato».Resta il tempo di un appello: servono spazi adeguati, al coperto, per ospitare il materiale abbondante della Protezione Civile. Poi la constatazione soddisfatta: «I comaschi rispondono sempre alle chiamate. Offrono generosamente. La nostra provincia ha grandissimi volontari, uomini e donne».
Marco Guggiari