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Alì il comico e i due assessori

di Dario Campione

Qualcuno ricorda l’esilarante figura di Mohammed Saeed al-Sahaf? Era il ministro dell’Informazione di Saddam Hussein e la stampa lo aveva soprannominato Alì il comico per le sue irresistibili conferenze stampa convocate durante la seconda guerra del Golfo. Indimenticabile la dichiarazione sulla sconfitta ormai imminente dell’esercito americano pronunciata mentre alle sue spalle sfilavano in parata i carri armati statunitensi, entrati trionfalmente a Baghdad senza più incontrare alcuna resistenza. L’ostinazione con cui la giunta di Como insiste nel giudicare «normale» il collasso del traffico di sabato scorso è degna di Alì il comico. Che non avrebbe saputo fare di meglio, nemmeno parlando alla stampa  avvolto in una nuvola di gas di scarico. Ora, nessuno dotato di raziocinio a livelli elementari comprende l’atteggiamento del Comune di Como, questo negare l’evidenza che espone l’esecutivo a un giudizio implacabile. Le spiegazioni possibili sono due. La prima è la cecità. Ma, anche per rispetto delle persone colpite da una malattia così crudele, non è da prendere in considerazione. La seconda è la cecità politica. E qui il discorso si fa diverso. È del tutto evidente che il caos di auto in Convalle è figlio di una scelta precisa – scelta politica – compiuta dal Comune all’atto della formazione del bando per l’assegnazione degli eventi di fine anno. Sarebbe stato necessario in quel momento obbligare i concorrenti a predisporre (o a finanziare) un serio piano del traffico da applicare nelle giornate più critiche. L’esperienza, ironizzava Gramsci, insegue l’uomo invano. Perché l’uomo è più veloce. Soprattutto quando si è testardamente fissato un’idea in testa. L’inferno di auto in coda non è una novità. Si ripete più o meno puntuale ogni anno. Non solo: Como è, e resta, un catino di fondovalle, dal quale è complicatissimo entrare e uscire. I dati essenziali sono tutti sul tavolo. Fare finta di non vederli è un clamoroso passo falso. Anche la risposta dell’assessore Negretti al Pd – ovvero, chiedere che cosa avesse fatto il centrosinistra durante il suo mandato per risolvere il problema – non regge. Perché dagli errori degli altri, dalle loro mancanze, si deve saper trarre una lezione. Soprattutto quando si accetta l’onere di governare una città. Il successo di una manifestazione, poi, non può essere un alibi. Al contrario: di fronte alla confusione e al totale disordine è un’aggravante. Poiché nessuno organizza qualcosa perché faccia fiasco. E tutti sperano, quando aprono un locale, che questo si riempia. Tranne decidere saggiamente, a un certo punto, di chiudere le porte.

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