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Animali in città, l’illusione della pandemia

di Agostino Clerici

Nel giardino della casa dove ho abitato fino a due anni fa era diventato normale vedere i caprioli. Mi trovavo a pochi chilometri dalla città, ma il mio giardino comunicava direttamente con la montagna, e in fondo non c’era da meravigliarsi più di tanto che i caprioli lo scambiassero per una tranquilla radura nel bosco. A poco a poco si sono abituati alla mia presenza discreta e non li disturbava ormai nemmeno il suono delle campane. In fondo quei caprioli si erano gradatamente ambientati entro lo spazio di vita di un “animale” tranquillo e solitario quale io devo essere sembrato loro.

Questo piacevole ricordo bucolico mi porta a riflettere su un fenomeno che nell’ultimo anno pare essersi verificato in tante città del mondo. Infatti, il lungo isolamento cui ci ha costretti la pandemia, con la conseguente riduzione delle attività umane, ha spinto alcuni animali selvatici ad esplorare le zone urbanizzate. Foto e video hanno invaso la Rete (anche con alcuni clamorosi falsi dovuti a fotomontaggi) e così abbiamo scoperto che un’aquila reale vola sopra i grattacieli e le guglie di Milano, che i canguri saltellano tra le vie di Adelaide e le scimmie lungo i viali delle città thailandesi, che i leoni prendono il sole sull’asfalto di città sudafricane e i bufali corrono in superstrada a Nuova Delhi.

C’è un modello che permette di capire i criteri con cui gli animali utilizzano lo spazio, non solo in base alle caratteristiche ambientali ma anche sulla base del pericolo percepito, creando una sorta di mappa mentale di rischio che valuta i costi e i benefici dei loro spostamenti. Ad esempio, sul muro del mio giardino cresceva un’edera che io né mangiavo né tagliavo e i caprioli ne erano invece particolarmente ghiotti: una volta appurato che a me l’edera non interessava e che la lasciavo volentieri ai caprioli, nella loro mappa di rischio il mio giardino è diventato un luogo di spostamento sufficientemente sicuro (anche perché pochissimo antropizzato) e redditizio (perché il cibo era abbondante, fresco e non conteso da nessuno).

Questo deve essere stato anche il “ragionamento” di quei cinghiali che si sono spinti fino ai succulenti cassonetti che purtroppo spesso rimangono per giorni lungo alcune vie di Roma. Anzi, poco tempo fa ha fatto scalpore il video girato nel parcheggio di un supermercato della capitale e che ritrae un gruppetto di facinorosi cinghiali scippare una impaurita signora del suo sacchetto della spesa. Evidentemente la paura della signora deve essere stata avvertita come superiore alla paura che l’animale selvatico comunque nutre per l’uomo e il beneficio è stato considerato maggiore rispetto al rischio.

Si comprende perché la pandemia che ha svuotato le strade delle città abbia convinto gli animali a frequentarle, facendole ritenere più sicure proprio perché senza l’uomo e senza i suoi rumori: la riduzione dei nostri spostamenti ha favorito gli spostamenti degli animali, aumentando il loro livello di “sfrontatezza”. Se è vero che il 56% della popolazione mondiale vive in città, la pandemia ha come annullato gli effetti dell’urbanizzazione, riportando indietro l’orologio della storia di due secoli, quando esistevano solo una cinquantina di città sopra i 100mila abitanti. Ma si è trattato solo di una parentesi, di una illusione. Per noi e anche per gli animali.

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