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Bando cultura pronto in attesa dei soldi

di Lorenzo Morandotti

La carenza di fondi, in tempi di crisi e con fosche prospettive come quelli attuali, dove ogni giorno porta nuovi ostacoli, è la madre di tutti i problemi. Il bando per il sostegno alla cultura del Comune di Como, tanto annunciato fin dallo scorso anno, era atteso a fine gennaio, poi è slittato e ancora non si sa quando potrà essere presentato pubblicamente. E intanto le associazioni e i vari soggetti che vi potrebbero aderire scalpitano, sono sulle spese, rimandano progetti, tengono ferme le redini, magari cercano di rivolgersi altrove, di portare i cervelli lontano da qui.

E non sono anime belle, chierici  vaganti che vivono d’amore e di gloria, ma posti di lavoro, e lavoro spesso mal pagato e il più delle volte volontario, legato a un concetto che si chiama passione (per il bello, per la condivisione, per la natura, per la storia) che non pare merce comune vista l’assuefazione al peggio che tende a  diffondersi in questo Paese.

Il bando comunale non esce perché non si ha ancora la certezza di quanto potrà essere messo a bilancio da parte di Palazzo Cernezzi per questo comparto ritenuto strategico.  In attesa della quadratura del cerchio che ci auguriamo attenda dietro l’angolo e sia imputabile solo a uno dei tanti intoppi della burocrazia, cosa che in Italia è spesso una buona scusa per non indignarsi come meriterebbe la situazione, concediamoci qualche riflessione e qualche paragone. Cose già dette, magari, ma che occorre ribadire.

Quanto sia  strategico tale  comparto che si chiama cultura alla fine poi non si sa, se mettiamo sulla bilancia altre realtà, ad esempio  la vicina Chiasso che ha un decimo degli abitanti di Como, per carità è situata nella florida Svizzera e non nell’acciaccata Italia ma riesce a programmare con precisione appunto elvetica un calendario di eventi e mostre con caratura e  dimensione che valicano di gran lunga i limiti della frontiera.

Se prendiamo poi l’Estival Jazz di Lugano, la rassegna gratuita di concerti estivi  che ha pianificato tre anni di sostegno da parte di uno sponsor finanziario da qui al 2021, il paragone è parimenti impietoso. Se sono passati ormai in archivio gli anni d’oro delle mostre di Villa Olmo, lo sono anche quelli dei megaconcerti con ospiti di calibro almeno nazionale (ma non dimentichiamo che a Villa Erba nei bei tempi andati suonarono i Cure, Bob Dylan e Phil Collins). Altri tempi, secondo millennio, condizioni pre-crisi, tutto quello che volete. Invece di magnificare sorti del turismo e in special modo del turismo culturale, sarebbe opportuno una volta per tutte convocare quegli “stati generali” del comparto, per individuare pochi ma concreti obiettivi.

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