Parla un sacerdote: «Mancano i giovani, in special modo le ragazze»Fermo e perentorio: «Questo è quanto ritenevo di dirle. Ma il mio nome sul giornale, proprio no». Il colloquio è finito. L’anziano sacerdote che ha accettato l’incontro si alza e torna alla sua occupazione principale, che è quella del confessore. «Buon lavoro», si limita ad aggiungere mentre si allontana a passi rapidi.Tutto era iniziato due giorni prima con una telefonata del cronista a uno dei tanti preti che quotidianamente ascoltano le colpe di decine di penitenti nel Duomo di
Como.La Settimana Santa è l’occasione per fare il punto su quello che per i cristiani è il Sacramento della Penitenza e su com’è cambiato nel tempo.L’interlocutore all’altro capo del filo inizialmente sembra sorpreso, come si intuisce dalla pausa che precede la risposta. «Va bene – concede poi – Vediamoci in cattedrale». E così avviene. In coda tra i fedeli che si accostano al confessionale, dopo circa mezzora di attesa viene il momento della chiacchierata riferita qui di seguito.Qual è il grado odierno di partecipazione alla Confessione? Il suo è un osservatorio importante.«Assistiamo a un calo verticale. E questa situazione peggiora da almeno un decennio. Le persone si confessano e poi aspettano 5 o 6 mesi, in molti casi anche un anno, prima di tornare. Questo comporta una minore continuità anche nell’Eucarestia. Mancano soprattutto i giovani, in special modo le ragazze. Nel loro caso si può parlare di vero e proprio disastro».Com’è cambiato l’atteggiamento del penitente? Sono frequenti i casi in cui vengono privilegiati colloqui su problemi personali, anziché l’accusa dei propri peccati?«Fosse vero… I più vengono qui per togliere la polvere dalla propria vita, o i sassi, se ci sono. Ignorano che la Confessione non è un Sacramento soltanto per la “pulizia” personale, ma per un vero accompagnamento alla vita cristiana. Se c’è questo, c’è anche la verifica; c’è una giusta frequenza».Com’è cambiato il senso di colpa? È vero che c’è maggiore sensibilità ai peccati cosiddetti “sociali” e si dà minore importanza a quelli della sfera privata?«La verità è che non c’è più peccato. Non c’è più il senso di Dio. In molti si afferma la pretesa di questo automatismo: “Io chiedo perdono, quindi sono a posto”. Tutti i giorni i miei confratelli e io ci imbattiamo in questo atteggiamento di fondo. Ci sono ragazze che frequentano le scuole superiori, confessano di fare sesso e subito aggiungono: “Ma ci vogliamo bene”… La Confessione, oggi, viene abbandonata subito dopo la Cresima, che non dovrebbe essere il Sacramento del “ciao-ciao”, come diciamo amaramente noi preti. Tanti ritornano solo quando è il momento di sposarsi».Dunque lei non riscontra questa dimensione più “sociale” del peccato?«Alcuni si rendono conto che non aiutare il prossimo è una mancanza. Gli stessi però non avvertono come una colpa perdere la messa nei giorni comandati, o fare sesso quando e come vogliono. A ben vedere, anche per quanto riguarda l’aspetto sociale ci sono eccezioni: pochi considerano peccato evadere le tasse. D’altronde, hanno davanti tanti esempi negativi…».Qual è il peccato più difficile da confessare?«Certamente l’aborto. E anche il tradimento del coniuge, tanto più quando ci sono di mezzo i figli e le cose si complicano».Quando il confessore valuta che non ricorrono le condizioni per assolvere il penitente?«Quando mancano il sincero pentimento e il desiderio di migliorare. È una decisione che non dipende dalla gravità in sé di un peccato, ma dall’assenza della volontà di cambiare».Qual è la difficoltà maggiore che incontra il confessore?«La mancanza di preparazione al Sacramento di chi viene qui. Molti arrivano e vogliono subito confessarsi senza nemmeno darsi il tempo di un esame di coscienza. Se li si invita a prepararsi, capita che se ne vadano. A me è successo anche oggi».Il quadro che lei dipinge lascia poco spazio alla speranza…«La speranza rinasce se il penitente inizia a capire e dopo 20 giorni è qui di nuovo. È essenziale avere il riferimento fisso di un prete, il cosiddetto “direttore spirituale”. La figura ideale è il parroco. Ma si comincia da piccoli. I bambini dicono: “Vado dal mio don”».
Marco Guggiari
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