Categories: Opinioni & Commenti

Capitale della seta e delle aree dismesse

di Marco Guggiari

È dei giorni scorsi il servizio di Etv e di questo giornale sull’Hotel Petit Chateau di viale Innocenzo XI, chiuso da oltre dieci anni e preda del degrado. È lì, in una parte della cosiddetta tangenziale al confine ormai con il centro cittadino, non lontano dalla stazione ferroviaria San Giovanni. Di fronte a sé ha l’ex Danzas, anch’essa inutilizzata da tempo.

L’occasione è buona per soffermarsi più in generale sulla questione delle aree dismesse a Como. Il loro numero, come vedremo, è molto elevato in proporzione alle altre città della Lombardia.

In proposito basta consultare le schede della Regione. La provincia di Como ha 93 aree di questo tipo ufficialmente censite, quante quella di Brescia. In tutto il territorio lombardo, ne ha meno soltanto della provincia di Milano, che ne conta 139. La città capoluogo lariana da sola, poi, ha 41 aree dismesse, poco meno di metà di quelle dell’intera provincia. Per dare un’idea, la città di Varese ne ha 12, Lecco 5.

Certo, Como è stata più industriale, ma Brescia non lo è certo di meno, eppure ha solo 17 aree dismesse. Milano, la metropoli, 25. I numeri danno il segno di un cambiamento d’epoca, perché la maggior parte degli edifici dismessi sono di tipo produttivo, industriale o artigianale. Como è stata una straordinaria capitale della seta. Poi tutto è cambiato, tant’è che nella nostra città, già da anni, il terziario ha superato per numero di occupati l’industria.

Qualcosa evidentemente, visti i dati riferiti e le proporzioni in regione, non ha funzionato nei decenni, nelle amministrazioni che si sono succedute qui e nel rapporto tra queste e i privati. Il cambiamento, oltre a lasciare sul terreno molte fabbriche, non si è pienamente compiuto. Non ha determinato una quantità ragguardevole di recuperi di stabili e di terreni da destinare a nuove funzioni e attività. E questo non è buon segno, è un po’ come lasciare abbandonati luoghi un tempo pieni di vita, dopo un disastro o dopo una scorribanda nemica.

La Regione Lombardia avvisa che le aree dismesse non residenziali rappresentano un potenziale danno territoriale, sociale ed economico e per il contesto ambientale ed urbanistico. Per promuoverne il recupero dà ai Comuni la facoltà di procedere sollecitando direttamente i proprietari a presentare progetti e, in caso di mancato riscontro, di intervenire avviando varianti urbanistiche per il recupero stesso.

Di più, l’articolo 40 bis della Legge regionale 18 del 2019 prevede che una delibera del consiglio comunale possa stabilire che i privati proprietari degli immobili abbandonati da oltre 5 anni debbano intervenire entro il triennio successivo, decorso vanamente il quale, il Comune può imporre l’abbattimento delle strutture.

Il fatto è che il buon esempio ai privati dovrebbe darlo l’ente locale, ma questo avviene solo in parte. Da quanti decenni ormai Como ha le sue storiche aree dismesse? La Ticosa è la madre di tutte. Ma pensiamo anche al Politeama, in gran parte di proprietà comunale, al palazzetto di Muggiò…

Va pur detto che alcune aree private sono state nel frattempo oggetto di progetti d’intervento e che in qualche caso questi sono già in corso o sono stati compiuti. Ma non basta.

Questo è un anno funestato. Abbiamo avuto il Covid e il confronto con la società comasca per le proposte sull’area ex Ticosa, per ridirne una, la più simbolica, è saltato, benché fosse stato annunciato dal sindaco nelle ultime ore del 2019. Non dobbiamo però rinunciare a riprendere il filo del discorso.

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