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Como ha un passato che pesa

di Marco Guggiari

“Un grande avvenire dietro le spalle” era un libro autobiografico scritto in età matura da Vittorio Gassman, attore e regista tra i maggiori d’Italia. C’è chi usa questa espressione per alludere, non senza ironia, alla situazione di Como: una certa oggettiva decadenza preceduta da lunghi periodi di splendore. Tra questi, certamente, nei tempi più antichi le epoche legate a civiltà che ci hanno preceduto. Ce ne dimentichiamo, ma ecco che ogniqualvolta si mette mano al piccone ne affiorano le testimonianze. E questo, inevitabilmente, è un guaio nel guaio di un capoluogo che stenta a vivere di vita nuova.

Non abbiamo a che fare soltanto con il valore della città “sommersa”, con le sue esigenze di salvaguardia di antiche vestigia e di attesa vetrina per quanto talvolta emerge e stupisce (pensiamo alle monete d’oro romane di via Diaz), ma dobbiamo fare i conti anche con l’importante condizionamento determinato da tanta storia stratificata nei secoli e nei millenni.

Basti ricordare che Como fu colonia dell’Impero romano dal 59 a. C. e che gli studiosi da lì in poi le hanno attribuito ben nove fasi insediative fino all’età basso-medioevale e moderna. Prima dei Romani, tra l’altro, c’erano già stati i Liguri e poi gli Etruschi.

Le evidenze di questo percorso sono particolarmente nitide in queste settimane di lavori ordinari che hanno portato alla luce in via Sant’Abbondio e in via Borgovico tombe e resti dei nostri progenitori.

Gli stop imposti dalla Soprintendenza saranno con ogni probabilità, in questi casi, limitati nel tempo. Non sempre però è così, anche perché di molte situazioni si ha preventiva conoscenza in base a indagini precise che evitano successivi disastri, ma di altre niente affatto.

È innegabile che appena tre-quattro metri sotto i nostri piedi, nella Città Murata, c’è la Como romana e ci si imbatte in zone ad alto rischio archeologico.

L’Ufficio tecnico del Comune di Como dispone di una mappa avuta dalla stessa Soprintendenza sul finire del secolo scorso. Dobbiamo augurarci che venga scrupolosamente aggiornata sulla base di tutte le nuove scoperte. Ad eccezione delle zone di Camnago Volta, Garzola e Civiglio pare infatti che quasi ovunque vi sia il rischio di imbattersi in “sorprese”.

Prove in tal senso ne abbiamo del resto ampiamente avute nell’ultimo quarto di secolo con i reperti venuti alla luce in viale Varese e in via Benzi, quando si aprì il cantiere destinato alla costruzione del Pirellino, o molto prima in viale Lecco dove ci si imbattè nelle terme, o in piazza Cacciatori delle Alpi, con la scoperta del porto, o con l’antichissimo “cerchio magico” dell’area Tre Camini accanto a dov’è stato realizzato il nuovo ospedale Sant’Anna.

Tanto per essere pratici, questo comporta spesso problemi per la realizzazione di autosili, di cui pure la città ha assoluto bisogno. In questo e in altri casi, quindi, il problema di fondo è come “musealizzare” senza contestualmente impedire che siano date risposte alle esigenze odierne. Ogni situazione è un’incognita e ha una risposta a sé. Una difficoltà in più, per certi versi, nello sviluppo di Como.

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