Categories: Opinioni & Commenti

Coordinamento, questo sconosciuto

di Lorenzo Morandotti

Sinergia, lavoro di squadra, parola d’ordine mettersi in rete, coordinare gli eventi in un unico cartellone, sfruttare al meglio le occasioni, il motto sia “l’unione fa la forza”. Quanti slogan di questo genere sentite ripetere  da troppo tempo? Nell’ambito culturale sono ritornelli che circolano da anni. Quanto ci vorrà a capire che occorre  senso della responsabilità, prima di  spendere parole tanto impegnative? Prima di vederne svanire il senso, nel repertorio della retorica e delle frasi fatte di circostanza?

Eventi che garantiscono al Lario sul fronte culturale e anche turistico visibilità anche oltre i confini nazionali  si stanno moltiplicando, dal cinema allo sport alla moda, ma non si va mai oltre il generico appello alla comunità d’intenti. Di conseguenza, i passi concreti che si vedono sono sporadici e evidenziano l’assenza di un programmazione a monte. Il tanto atteso cartellone degli eventi coordinato da una pubblica amministrazione, cittadina o provinciale, è ad esempio ancora un sogno. E quel che si fa di buono spesso ha strani intoppi. Lo segnalammo in estate e torniamo a farlo ora: la “pagina ufficiale della Città di Como” ossia il sito istituzionale visitcomo.eu non pubblica  più messaggi su Twitter da marzo, dopo aver lanciato nella rete oltre 3.200 “cinguettii”. La città si è cioè giocata l’opportunità di comunicare agli oltre 3mila follower eventi clou di quest’anno come il set di Jennifer Aniston per Netflix, l’evento di moda targato Dolce & Gabbana, il Giro di Lombardia di ciclismo. Altro esempio, meno lampante ma significativo. Il pubblico che il 6 ottobre  ha visitato l’inaugurazione della mostra “Cinque scultori comacini raccontano”  in  S. Pietro in Atrio,  non ha saputo se non in extremis che a poca distanza apriva un’altra mostra, in uno spazio privato in viale Lecco, con altri quattro scultori internazionali e un comasco. Si sa, il privato è ritenuto sinonimo di “a scopo di lucro”: guai combinare sacro e profano. Ma allora come mai mostre in spazi pubblici della  città sono spesso promosse  da gallerie private? C’è una logica o è far west?

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