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Cosa abbiamo e cosa manca

di Marco Guggiari

Se facciamo il gioco di chiederci cosa abbiamo e cosa manca in questa strana primavera sotto scacco collettivo, i conti non tornano. Abbiamo ancora il coronavirus e sapevamo che sarebbe stato così, sebbene i contagi siano in calo. Da una settimana, con l’avvio della fase due, abbiamo maggiore libertà. Abbiamo quindi qualche rischio in più rispetto a prima per via dell’aumento dei nostri contatti, ma stiamo dimostrando di avere anche un discreto senso di responsabilità individuale, con le solite e inevitabili eccezioni.

In attesa dei dati che a breve ci diranno com’è andata finora, mancano però molte altre cose. Mancano ancora le mascherine, nonostante le pubbliche promesse che sarebbero state disponibili nelle farmacie fin da lunedì scorso. Invece sono tuttora introvabili perché, ci dicono, non si era tenuto conto dei necessari controlli e delle certificazioni. In ogni caso, scopriamo che quando le mascherine saranno disponibili, saranno gravate dall’Iva. Se ci pensate, è pazzesco dal punto di vista dell’ottusità culturale. Lo Stato non ce la risparmia nemmeno in un caso come questo.

Mancano i tamponi, perché non ci sono abbastanza reagenti. Mancano i test sierologici per capire se un cittadino è stato contagiato e ha sviluppato anticorpi. Qua è là, le diverse Regioni ne propongono alcuni; altri sono allo stadio di laboratorio. Manca un punto fermo, un riconoscimento di validità generale, un via libera alla diffusione.

Manca anche la famosa applicazione che, installata sui telefoni cellulari, dovrebbe tracciare eventuali contatti con persone poi risultate affette da Covid-19.

Manca, incredibilmente, il “Decreto aprile” sugli aiuti economici, che essendo ormai maggio inoltrato, quando finalmente vedrà la luce cambierà nome.

È la riprova che manca anche un sufficiente sforzo di armonia e di consapevolezza nel governo. Prevale la litigiosità dettata dalle ambizioni di potere e da qualche ego smisurato, dentro e fuori dalla maggioranza. Non una grande interpretazione dell’interesse generale, obiettivamente.

Manca infine uno sguardo ampio, l’abbozzo di un disegno per costruire un futuro diverso per sanità, scuola, produttività e lavoro dei giovani.

Intanto, i numeri comaschi ci dicono alcune cose preoccupanti. Secondo uno studio divulgato in settimana, i contagiati nella nostra provincia potrebbero essere fino a 64mila, vale a dire oltre il 10% dell’intera popolazione locale. Poi, la variazione del numero dei morti nel mese di marzo, rispetto alla media dei cinque anni precedenti certifica che nel Comasco c’è stato in incremento del 64,2%. Siamo passati da 668 a 1.008 decessi (dati Istat). Significa 21° posto nella tragica classifica italiana.

Da ultimo, ma non ultimo, sono aumentati i poveri. Nella sola città capoluogo il sindaco ne ha stimati 3mila in più rispetto all’epoca pre-Covid dei primi due mesi dell’anno.

Consolano invece i racconti di chi è guarito dopo essere stato in punto di morte. Quasi sempre contengono riferimenti alla convinzione di un nuovo inizio, di una vita che ricomincia, per la quale ogni giorno è un regalo. Un messaggio che può aiutare tutti a essere migliori in questa lunga battaglia.

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