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De-ospedalizzare, la lezione della pandemia

di Mario Guidotti

C’è voluta una pandemia, ma vogliamo pensare che questa abbia solo accelerato la necessità di una profonda revisione della riforma sanitaria di Regione Lombardia che data ormai sei anni. Sì, prima ancora che il Coronavirus-19 ci spalancasse gli occhi sui suoi limiti, l’ambiente sanitario aveva capito che non si poteva andare avanti con un simile accentramento delle competenze sanitarie negli ospedali.

La legge regionale n. 23 dell’agosto 2015 era nata per de-ospedalizzare ampie competenze e ha avuto il risultato opposto. Tutto negli ospedali: Pronto soccorso, reparti di degenza ovviamente, ma anche servizi ambulatoriali specialistici delegabili in altre sedi, e poi, abbiamo visto durante il disastro Covid, centri “hub” per tutto, con il risultato di non poter dare risposte a ogni richiesta, di alta e bassa intensità, e addirittura, agli inizi ricorderete sicuramente, tamponi solo in (taluni) ospedali e anche vaccinazioni solo in ospedale, fino all’identificazione di centri vaccinali esterni, ma sempre numeratissimi.

Il virus ce lo ha fatto capire: bisogna portare molte attività fuori. Ne diciamo due che sono sotto gli occhi di tutti: non tutte le prestazioni d’urgenza devono essere effettuate presso il Pronto soccorso e non tutte le visite specialistiche devono essere svolte nei nosocomi che già si occupano di trecento cose. Perché se lo specialista deve scendere in ambulatorio non può dedicarsi alle guardie o ai malati ricoverati nei reparti.

Certo, c’era un tempo in cui si poteva fare tutto, ma i volumi erano inferiori. O espandiamo gli organici oltre misura o deleghiamo altre strutture allo svolgimento delle visite e prestazioni strumentali specialistiche, per queste intendiamo esami radiologici, endoscopici, elettrocardiogrammi, elettroencefalogrammi, elettromiografie, visite e compagnia diagnostica varia. Perché, come sanno tutti, le liste d’attesa sono ormai insopportabili, oltre che immorali e più di tutto inutili: se non è per un controllo, a chi serve una visita specialistica o un esame dopo 6-12 mesi?

Discorso Pronto soccorso, beh, dicono: non si sa mai che un sintomo lieve possa nascondere un guaio grosso. D’accordissimo, ma una puntura d’insetto, se non ha sintomi gravi, può essere gestita in un ambulatorio “minore”, anche perché, diciamola tutta, in un Pronto soccorso ha da aspettare dalle 3 alle 9 ore in media.

Come pure una ferita può essere suturata e medicata in un ambiente sanitario a più bassa intensità. O una colica renale, magari anche una stipsi importante, e perché non una sciatica? Bravo, ma quale ambulatorio è aperto h 24, festivi compresi?

Questo è un altro discorso, che va affrontato con logiche organizzative, e sindacali diciamolo pure, diverse, magari anche grazie ai soldini che l’Europa sembra voglia elargirci, sempre che ne facciamo un uso ragionevole. Non c’è bisogno di faraonici piani riorganizzativi. Basta una ricognizione e una mappatura del territorio sanitario, poi decidiamo chi fa cosa e partiamo a de-ospedalizzare. Bastano due mesi se c’è la volontà.

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