di Adria Bartolich
Il livello di disperazione di questo Paese è misurabile in modo tangibile semplicemente guardando il livello di speranza che viene riposto nei confronti del presidente del consiglio incaricato Mario Draghi. Intendiamoci, sul prestigio di Draghi niente da dire. La sua è una figura più che sperimentata sulla cui competenza non si discute.
Come la gran parte degli italiani, quando ho sentito fare il suo nome per la formazione del governo, ho tirato un respiro di sollievo. Di esperimenti non se ne può davvero più e negli ultimi decenni ne sono stati fatti a bizzeffe.
Il problema è che se per qualche ragione lui non dovesse farcela, non a formare il governo, ormai lo diamo praticamente per fatto, ma ad avviare una fase di riforme strutturali vere e soprattutto veloci che ci consentano di accedere ai finanziamenti europei con le carte in regola, temo ci rimarrebbe solo di andare a Lourdes.
Sono troppi i nodi irrisolti da tempo. E il nostro è un Paese rallentato nella sua economia e poco competitivo, il più lento a riprendersi dalla crisi del 2008, e in seguito mai completamente riassestato, a cui l’epidemia ha affibbiato un’altra grande mazzata.
L’Europa chiede riforme strutturali per la pubblica amministrazione, la giustizia civile e il fisco, e solo delle riforme vere possono trasformare una montagna di debiti in investimenti per il rilancio. Ed è un programma immenso.
Draghi, da persona avveduta qual è, pare abbia già focalizzato la sua attenzione anche sulla scuola, dico pare perché quanto trapela sul prolungamento del calendario scolastico, dato come definitivo dal pourparler mediatico, è in realtà, ad oggi, solo un’intenzione espressa durante le consultazioni dei partiti.
Comunque, se dovesse partire dalla scuola, farebbe solo bene. L’importante è iniziare, però, con il piede giusto. Stabilizzare i precari che lavorano da tempo è corretto e rappresenta nuova occupazione. Velocizzare le assunzioni è altrettanto importante ma dubito che il concorso sia uno strumento utile e funzionale allo scopo. Tempi troppo lunghi e soprattutto rallentamenti imbarazzanti nella sua applicazione reale con costi per lo Stato altissimi.
Inoltre, nella scuola è impossibile prescindere dalla qualità del personale e dell’insegnamento, mentre il concorso valuta, se va bene, la conoscenza della materia e della normativa scolastica all’ingresso. Il risultato di questo sistema di assunzioni ottocentesco è la perpetrazione del fenomeno del precariato e migliaia di cattedre scoperte al Nord che, si badi bene, rischiano di essere scoperte anche durante il prolungamento nei mesi estivi. Per cui attenzione a non cavalcare l’onda: occorre focalizzarsi invece su interventi mirati.
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