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Eitan, la contesa e la natura umana

di Agostino Clerici

La natura umana manifesta la sua parte peggiore quando è impegnata in quell’esercizio che va sotto il nome di contesa. Gli occhi si appuntano su un oggetto – una casa, un terreno, una eredità o forse solo un insignificante gingillo che costituisce semplicemente un pretesto per litigare – e si scatena una guerra di aggressione, in cui tutti i colpi bassi sono permessi e la scaltrezza diventa una virtù.

Del resto il male si genera sempre da una riduzione dello sguardo che si concentra su qualcosa e lo assolutizza, così da non accorgersi più della bellezza dell’insieme e da perdere anche il lume della ragione. Ne sanno qualcosa Adamo ed Eva, che avevano a disposizione un immenso giardino e si sono lasciati inchiodare dal serpente tentatore su un solo albero, nemmeno il più importante.

Esatto, la contesa diventa addirittura diabolica, se l’oggetto non è una cosa ma una persona. È di questi giorni la notizia che il piccolo Eitan – l’unico sopravvissuto alla tragedia della funivia del Mottarone, in cui ha perso i genitori, il fratellino e i bisnonni – è stato portato in Israele dal nonno materno, che lo ha sottratto alla zia paterna a cui era stato affidato dalla magistratura italiana. La Procura di Pavia ha già aperto una indagine per sequestro di persona.

Eitan, 6 anni, ieri avrebbe dovuto cominciare la scuola con la prima elementare presso l’Istituto Canossiane di Pavia (e sembra che il nonno israeliano non fosse d’accordo su questa scelta). Del resto, anche la famiglia materna che vive in Israele aveva reclamato l’affidamento legale del bambino. Era dunque già in atto una contesa, perché il nonno riteneva che il piccolo nipote dovesse tornare nel Paese natale dei suoi genitori e non restare in Italia, dove – così avrebbe sostenuto – Eitan era infelice.

Naturalmente di parere opposto era la zia paterna, più che convinta che il piccolo sopravvissuto, dopo il periodo difficile passato in ospedale, avesse ripreso a vivere serenamente entro la semplice trama di affetto familiare in cui era stato inserito nel piccolo paese di Travacò Siccomario. Insomma, si sta litigando su un bambino e sui suoi sentimenti, sul fatto che sia felice, e su dove e con chi debba stare per esserlo. Cosa, purtroppo, non rara, ma che nel caso di Eitan non vede come “contendenti” i due genitori all’atto della separazione, ma i loro familiari.

Una vicenda tristissima che avrà come unica vittima proprio quel bambino “conteso” che tutti dicono di amare e voler proteggere. Un punto fermo, comunque, c’è e da lì bisogna ripartire. Ed è la violenza – non so chiamarla in altro modo – con cui il nonno ha rapito il nipote, sottraendolo a un legittimo affidamento. Si è trattato di un vero raid, predisposto a tavolino, con espatrio in Svizzera dalla dogana di Chiasso e jet privato pronto a decollare dall’aeroporto di Lugano.

Un progetto attuato con troppa facilità. Ed è sintomatico che sia stato riconosciuto come illegale anche da Israele, che ha parlato della necessità di restituire il bambino alla famiglia italiana. Ma, si sa, questi procedimenti internazionali sono lenti e cavillosi e quindi lunghi. Intanto, preludio a un nuovo cammino di vita, la prima campanella della scuola è suonata, ma Eitan non c’era a sentirla. Proprio lui, che la vita ha dovuto ricominciarla presto.

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