di Lorenzo Morandotti
In questo tempo malato il femminicidio anche se reiterato, come è avvenuto di recente, rischia di non fare più notizia e di non scatenare la giusta indignazione. Purtroppo la vita di coppia non sempre corrisponde al ritratto offerto dalla retorica di San Valentino. Non lo è da secoli. Se facciamo un tuffo indietro nel tempo, tra i tanti efferati delitti di donne innocenti un volume edito da Einaudi ne racconta tre emblematici. Dove un comasco illustre è sul banco dei testimoni.
Tre donne ritenute adultere, in un’Italia che allora come oggi offriva «una stupefacente galleria di signori violenti, di vittime maltrattate, di crimini orrendi e di destini funesti», furono decapitate per ordine dei loro mariti nell’arco di un periodo relativamente breve, poco più di trent’anni, tra la fine del XIV e l’inizio del XV secolo.
La prima si chiamava Agnese Visconti e fu decapitata nel 1391; la seconda, Beatrice di Tenda, morí nel 1418; la terza, Parisina Malatesta, fu giustiziata nel 1425. Quanto ai loro mariti, figuravano tra i personaggi più importanti dell’Italia del tempo. Agnese, infatti, aveva sposato Francesco Gonzaga, signore di Mantova; il marito di Beatrice non era altri che il duca di Milano, Filippo Maria Visconti; Parisina era invece la seconda sposa di Niccolò III d’Este, signore di Ferrara. Élizabeth Crouzet-Pavan e Jean-Claude Maire Vigueur raccontano le loro storia nel volume Decapitate. Tre donne nell’Italia del Rinascimento.
Nelle sue Vite dei dodici Visconti di Milano, l’umanista Paolo Giovio prende nettamente le parti a favore dell’innocenza di Beatrice – in un tempo in cui già la si riteneva vittima di un marito crudele e perverso – e riporta che, persino sotto tortura, non confessò nulla che potesse essere di offesa al suo pudore.
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