di Adria Bartolich
Ho sempre provato una grande ammirazione per le persone coraggiose. Penso che il coraggio – di pensare, fare e dire – sia la prova della capacità di una persona di mantenere una sua integrità morale e l’autonomia nelle opinioni, con l’affermazione dell’orgoglioso diritto di mantenerle anche contro tutti e quando tutto porterebbe a pensare diversamente. Il coraggio, quello vero, ha sempre una correlativa difficoltà da superare, che sia l’isolamento, la denigrazione o anche la perdita di condizioni e posizionamenti personali comodi o agevoli.
Il coraggio, a differenza della sopraffazione, non si esercita per imporre qualcosa o controllare qualcuno, è invece, prevalentemente, una posizione di difesa. Il coraggio dialoga con la paura ed è la resistenza a un timore, una spinta interna che porta a contrastare una vessazione o prepotenza. Nell’etimologia della parola il suo profondo significato: avere cuore. È l’opposto dalla sfacciataggine e dall’impudenza dello spaccone o del bullo ed è ben lontano dai toni isterici che sono cari a questi ultimi. Il coraggioso ha cuore, tiene alle cose per cui combatte ed è consapevole delle perdite a cui potrebbe andare incontro e dover sopportare. Il coraggioso sente il peso della responsabilità; lo spaccone rompe, disintegra, non ha a cuore nulla se non la sua voglia di primeggiare.
Questo lungo preambolo è quanto mi è passato per la testa leggendo sui giornali dell’ennesima rissa avvenuta tra genitori, alla presenza dei loro figli, questa volta davanti a una scuola ad Ancona, ma sappiamo che simili episodi succedono in ogni dove, dalle manifestazioni sportive ai giardinetti con i giochi e nelle scuole. Considerata la frequenza con cui questi episodi si verificano, è evidente che non si tratta di casi ma di un atteggiamento diffuso e consolidato.
Siamo passati dall’educazione un po’ estrema e punitiva delle generazioni precedenti, per cui non si giustificava mai il proprio figlio, ritenuto sempre in torto a prescindere, a quella attuale secondo cui il proprio figlio, una specie di santino venuto al mondo per irradiare luce e magnificenza, non ha mai torto e va difeso sempre comunque. Neanche si chiede più cos’abbia combinato. Se è mio figlio è nel giusto e se alla prova dei fatti ha commesso un errore è stato per colpa di qualcun altro, il compagno, la maestra, la società, il sistema. Punto. E i bambini arrivano a scuola ormai totalmente fuori controllo e incapaci di stare con gli altri.
Qui però si aggiunge un problema: siamo arrivati ad alcune generazioni cresciute in questo modo e se non cerchiamo di arginare il fenomeno, tra un po’ saremo invasi da persone viziate e prepotenti oltre che irresponsabili, arroganti e maleducate, pronte a qualsiasi manipolazione o azione purché sia fatta la loro volontà. Se è questo che vogliamo continuiamo così. Altrimenti è arrivato il momento di tornare a discutere di educazione.
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