Giovanissimi e uso dei videogame, i consigli della psicoterapeuta Andreoli per evitare la dipendenza compulsiva

«La famiglia chiarisca le concessioni e non le preclusioni»
Ci sono alcuni casi di hikikomori, ovvero di chi rifiuta la realtà e la società per vivere isolato con un’unica finestra data dal monitor del computer. E ci sono molti casi per così dire più “leggeri”, di giovani e giovanissimi giocatori con pc, console e smartphone, compulsivi. Come possono affrontare i genitori i segnali di dipendenza dal videogame?Lo abbiamo chiesto alla psicoterapeutaStefania Andreoli, autrice di “Papà fatti sentire” e di “Mamma ho l’ansia”, pubblicati con Rizzoli, e noto personaggio televisivo, spesso ospite di “Non è l’Arena” su La7. Stefania Andreoli lavora da sempre con gli adolescenti, le famiglie e la scuola, occupandosi di prevenzione e formazione.È consulente per Walt Disney, Mondadori, Fabbri e De Agostini, presidente dell’Associazione Alice Onlus di Milano. Scrive per il “Corriere della Sera” e collabora con il Ministero dell’Interno per le politiche di contrasto alla violenza di genere.
Crede sia giusto per un genitore dare un limite orario per i videogiochi?«Sì, ma suggerisco che sia più funzionale e opportuno identificare con il ragazzo quando sia possibile, anziché quando è vietato – risponde – il concetto non cambia, ma ci si tira dalla propria parte i giovanissimi costruendo una alleanza molto più che non opponendo un divieto. Che la famiglia dunque chiarisca quando è concessa la sessione di gioco e a quali condizioni, non quando è preclusa».Da quali reazioni di bambini-adolescenti si può comprendere lo stato di dipendenza e di gioco compulsivo?«La dipendenza è una faccenda seria e il genitore altrettanto serio e preparato deve sapere che si tratta di una patologia. Non basta “non fare altro che stare attaccato alla console” per essere un gamer compulsivo. Esistono comunque i segnali dell’esagerazione, certo: il meno inequivocabile lo si nota quando il ragazzo non riesce a farsi bastare il tempo giornaliero dedicato al gioco che invece riusciva a farlo divertire a sufficienza precedentemente. Quando cioè si alza il suo bisogno di videogame. Allora sta cambiando qualcosa».Molti giochi online permettono di entrare in contatto con altri giocatori sconosciuti, ci sono rischi?«Domanda importante: in rete i rischi ci sono, sciocco sarebbe negarli o ignorarli. Ma non sottovalutiamo i nostri ragazzi. Io parlo di videogames con decine di preadolescenti a settimana, e garantisco che la stragrande maggioranza sa perfettamente scegliere i compagni di gioco conosciuti (magari i compagni di classe, per continuare a parlarne la mattina dopo) e destreggiarsi tra le offese, che sono molto diverse dal rischio del cyberbullismo e fanno parte della cultura dei giocatori. Mai sentita la parola “nabbo”? (neologismo che identifica i nuovi giocatori, inesperti da newbie ndr).La violenza dei giochi “spara spara” può essere in qualche modo pericolosa? O il giocatore scarica le tensioni in questo modo, come in altri tempi si giocava a guardie e ladri o a soldatini?«Rispondo con le parole di Alex, 12 anni: “Certo che il bello del gioco è sparare. Ma gli adulti non dovrebbero sapere che i delinquenti non diventano tali perché hanno giocato da ragazzini ai videogames violenti?” Come dargli torto, aggiungo io».