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Gli effetti benefici del “lockdown”

di Mario Guidotti

Per la prima volta dopo tante settimane e mesi non parleremo (direttamente) di coronavirus, o meglio, partendo dai grossi guai che ha fatto cercheremo di riflettere su altro. Secondo i dati ufficiali dell’Istat, si è osservato nel nostro Paese un aumentato tasso di decessi pari al 49,4% in marzo, mese orribile della pandemia da Covid in Italia.

Ma con enormi differenze geografiche: al Nord in 36 provincie il dato è raddoppiato, con punte tragiche (Bergamo +568%), mentre al Centro-Sud la mortalità è persino calata (-1,8%), con addirittura un -9,4% a Roma. Tutte le analisi degli epidemiologi si sono concentrate sui dati drammatici del Nord, per la verità con spiegazioni a oggi poco convincenti sui motivi di un gradiente così impressionante.

Ma non su questo vorremmo intrattenerci. Saremo invece stati distratti, ma nessuna voce ha cercato di spiegare quel segno “meno” al Centro-Sud. Ci proviamo. Un effetto benefico del virus? Non crediamo. E allora? Il cosiddetto “lockdown” signori. Sì, stare fermi salva vite umane. E poi, aggiungiamo, probabilmente un’allerta sanitaria alta, della serie: appena uno ha un sintomo di qualunque origine lo valorizza, lo pone all’attenzione dei sanitari e viene indagato, diagnosticato e curato presto e meglio. È stato evidentemente possibile al Centro-Sud, dove le strutture sanitarie erano libere e disponibili, non così al Nord, dove il collasso dei Pronto Soccorso ha penalizzato anche altri malati, oncologici, cardiologici, neurologici e anche pneumologici cosiddetti non-Covid.

Ma torniamo agli effetti benefici del “lockdown”. Bella forza, direte, bella trovata, tutti sanno che a stare fermi si muore meno. Spariti gli incidenti stradali (guarda caso il primo giorno di cosiddetta “fase 2” anche dalle nostre parti sono ricomparsi ciclisti e motociclisti ammaccati nei Pronto Soccorso), molte meno morti da violenza malavitosa, da sport estremi, e chissà cos’altro.

Certo, non possiamo affidarci a continui “lockdown” per guarire questi mali, ma molte riflessioni si impongono. A cominciare dalla necessità di una società più “attenta”, per esempio appunto agli incidenti stradali, che vengono misteriosamente considerati danni collaterali inevitabili. Ma quando mai? Chi ha nostalgia della Statale Regina in colonna per l’ennesimo “frontale” da distrazione di telefonino? Chi rimpiange i motociclisti sull’asfalto dopo zig-zag tra le auto? O gli stessi senza casco, magari in due-tre sullo scooter? Chi vuole vedere ancora ciclisti affiancati per chiacchierare mentre le auto li superano al pelo, o gli stessi contromano o in galleria come fantasmi invisibili? Insomma, fra i tanti insegnamenti che questi tragici mesi ci lasciano, impariamo dalla statistica che anche tante altre morti sarebbero evitabili se certi nostri comportamenti fossero più rispettosi delle regole.

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