di Adria Bartolich
La pandemia ci ha costretto a cambiare stile di vita. Questo è un fatto incontestabile. Qualcuno sostiene che si sarebbe potuto andare avanti come prima, continuando le nostre attività come se niente fosse, contagiandoci amorevolmente a vicenda e contestualmente operando una sorta di selezione darwiniana, incuranti degli esisti. Tutti ad appellarsi all’immunità di gregge, espressione fino a qualche mese fa sconosciuta alla stragrande maggioranza della popolazione italiana, diventata una sorta di feticcio a cui appellarsi per giustificare il via libera.
Vero che ci sono state pesanti e generalizzate limitazioni alla libertà personale, forse avrebbero dovuto essere assunti da subito provvedimenti più mirati a situazioni particolari; vero anche che, se tutti ora sembrano degli esperti di pandemie, era da quasi un secolo che non se ne vedeva una di dimensioni paragonabili a quella attuale di Covid-19. Inutile dire che prima o poi tutti i Paesi, anche quelli più ostili a farlo, hanno dovuto chiudere zone, scuole, attività. Magari in proporzioni diverse ma hanno dovuto farlo.
Certo, tutto questo pandemonio ci ha cambiato, qualcuno ha sofferto poco, qualcuno molto. Ci sono modi e contesti diversi anche per vivere l’isolamento, marchiato anch’esso dalla diversità di condizioni sociali ed è giusto tenerne conto, ma l’epidemia non si è affatto spenta.
Sono iniziate, finalmente, le vaccinazioni e questo è un bene, nel frattempo dobbiamo continuare a cercare di evitare ulteriori propagazioni. Le scuole sono chiuse, non per un vezzo ma perché si era alzato il picco dei contagi.
Nei giorni scorsi abbiamo assistito a manifestazioni a favore della riapertura delle scuole. A sostegno della tesi “riapertura subito” anche una ricerca effettuata da epidemiologi, biologi e statistici che spiega come non esista alcuna relazione tra l’apertura della scuola e la diffusione dell’epidemia visto che, dice la ricerca, nell’impennata della curva epidemica osservata tra ottobre e novembre, il tasso di positività dei ragazzi rispetto al numero di tamponi eseguito è inferiore all’1%. Peccato che in quella fase raramente i ragazzi effettuassero tamponi (non erano obbligatori) dato che per il rientro era sufficiente un periodo breve di quarantena e l’autocertificazione; sempre in quel periodo il livello di contagi tra gli insegnanti ha raggiunto il picco più alto, ma lo sappiamo per dato empirico perché, come ha dichiarato a “La Repubblica” Agostino Miozzo, consulente del ministro dell’Istruzione Bianchi, il Ministero non ha dati relativi agli istituti scolastici.
Posto quindi che, salvo rare eccezioni, sia anche interesse degli insegnanti tornare al più presto in presenza, sul piano educativo non si capisce se per i ragazzi sia meglio vivere serenamente questa fase di didattica a distanza, oppure assistere alle crisi di nervi degli adulti che parlano a nome loro.
Quando arriva l'inverno dobbiamo fare i conti con i termosifoni accesi che hanno un certo…
Pranzi cancellati e insegnanti a stomaco vuoto e tutto per "contenere i costi". Scoppia la…
Massima attenzione, con gli affitti non si scherza: basta un piccolo errore, che si rischia…
Le vacanze di Natale di quest'anno saranno più lunghe del solito: ogni regione ha già…
Il Bonus Pulizie fa tirare un sospiro di sollievo a migliaia di lavoro. Chi svolge…
Fai attenzione la prossima volta che prelevi al bancomat: molti cittadini sono già cascati in…