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Ho sognato il virus alla rovescia…

di Agostino Clerici

Ho immaginato un virus che non esiste. La fantasia, si sa, fa brutti scherzi, ma ci aiuta a percorrere itinerari che sono potenzialmente fecondi di nuove riflessioni. Il virus che ho immaginato non viene dagli animali e nemmeno è stato creato in qualche laboratorio. Da dove arrivi non si sa, perché gli scienziati non l’hanno ancora scoperto. Una sola cosa è ormai assodata, anche se molto strana e difficile a spiegarsi: il virus si trasmette per distanziamento sociale ed il suo terreno di coltura è quello che noi conosciamo come lockdown (il solito inglesismo che sta ad indicare le misure di confinamento).

Per spiegarci meglio: se uno se ne sta da solo in casa sua, si ammala; basta avvicinarsi a meno di dieci centimetri ad un altro essere umano ed, ecco, si è sicuri che il malefico virus senza nome perde tutta la sua potenza e in poco tempo muore. Stando vicini, il contagio è interrotto!

Ho immaginato tre mesi di appelli estenuanti, prima dopo e durante ogni programma televisivo, a stare tutti in casa, tutti ammucchiati sul divano, evitando accuratamente ogni distanziamento sociale. Si devono avere contatti con gli amici e gli affetti stabili (ma vanno bene anche quelli instabili). Anzi, in casa bisogna invitare i nonni, perché i vecchi sono i più forti e sviluppano più facilmente gli anticorpi. Si direbbe che i luoghi più sicuri sono un barcone stipato di disperati al largo di Lampedusa o un campo profughi ai confini tra Siria e Turchia.

Ebbene, stante queste condizioni, nell’immaginario computo dei contagiati i malati sono tantissimi, quasi a certificare che le persone sole e quelle tenute socialmente a distanza sono molte.

Il virus è destinato a durare a lungo, anche perché non c’è vaccino che funzioni e l’unica soluzione resta l’immunità di gregge (nel senso letterale della parola: bisogna formare un solo gregge!).

Invece, con il passare del tempo, dentro le famiglie chiuse in casa ha cominciato a serpeggiare il bisogno di andare a vivere da soli, e comunque di rimandare i nonni a casa loro (o di rimetterli nelle residenze per anziani) e di trovare finalmente la giusta distanza così da creare lo spazio adeguato per farsi ciascuno i fatti suoi. Il virus naturalmente è contento dell’esplodere di questi bisogni, perché il distanziamento sociale e l’isolamento per lui sono una vera manna. Come andrà a finire? Anche nel regno dell’immaginazione ci sono dei limiti alle previsioni, e non è dato saperlo.

È ora di tornare nella realtà, dove imperversa un altro virus, che ha un nome e su cui la scienza ha messo nero su bianco le sue prime certezze. Siamo entrati da poco nella fase più delicata e rischiosa della battaglia contro il Covid-19, forse con qualche fretta di troppo per riaperture che potevano aspettare. Ma la necessità di svoltare l’angolo è troppo forte. C’è voglia di normalità, e qualcuno vorrebbe recuperare presto il tempo perduto.

Sarebbe sbagliato, però, pensare alla ripresa come ad un giro di boa che ci fa tornare indietro come prima. Significherebbe accettare la legge implacabile che ci impone la giusta distanza. Invece, dobbiamo ricercare la giusta vicinanza e andare avanti. Da questo punto di vista, la pandemia qualcosa di buono ce lo ha insegnato. Sarebbe auspicabile tenerne conto, per non tornare più ad essere come eravamo.

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