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I pastori sardi, mia nonna e il latte versato

di Agostino Clerici

Quando ero piccolo, mia nonna mi raccontava una storia, che un poco riusciva a terrorizzarmi. Riguardava l’aldilà, o meglio quella sorta di «terra di mezzo» che serve a entrarvi. Ci sarà qualcuno – la nonna parlava addirittura di san Pietro, portinaio del paradiso – che mi darà una cesta per raccogliere tutto il cibo avanzato nel piatto per capriccio e quindi finito nella spazzatura. Il particolare tragico della storiella era che la cesta in questione è senza fondo. «Non entrerai in paradiso finché non avrai raccolto tutto e presenterai a san Pietro la cesta piena!», concludeva la nonna, con il dito alzato. E io, anche se piccolo, capivo che non avrei mai potuto riempire una cesta senza fondo e che, pertanto, avrei rischiato di passare l’eternità in quella raccolta infruttuosa, senza entrare mai in paradiso. La storiella aveva il suo effetto, perché io sapevo che qualcosa nel piatto l’avevo lasciato, ed era un ottimo deterrente per convincermi a mangiare tutto ciò che mi veniva generosamente preparato.

Mi è tornata in mente la storia della cesta bucata, vedendo in televisione le immagini del latte versato sulle strade o lasciato cadere dai cavalcavia in Sardegna. Certo, non è per un capriccio infantile che fanno questo, e le motivazioni addotte dai pastori sono ragionevoli e se ne capisce l’insofferenza e la protesta. Ma sono comunque ettolitri di latte finiti sull’asfalto (come era già accaduto tempo fa per quintali di pomodori). I pastori sostengono che il prezzo pagato per il latte è troppo basso e serve a malapena a coprire le spese di produzione. Ma perché non regalarlo, quel latte, a qualcuno che magari fa fatica a comprarlo? Non sarebbe una protesta ecosostenibile? Certo, non sono molti quelli che bevono il latte ovino, usato perlopiù per fare il formaggio, che è un prodotto di trasformazione del latte che non si può fare in casa. Molto più semplice, efficace e scenografica, la protesta di versarlo sulla strada e di sottrarlo così ai caseifici. Ma davvero è la soluzione migliore? Alla lunga, credo che anche l’istintiva simpatia popolare per i pastori possa andare incontro a qualche perplessità.

Dobbiamo certamente tutti riflettere sull’ingranaggio infernale in cui il tritacarne dell’economia ci costringe a vivere. Forse anche noi saremmo disposti a comprare il latte a 60 centesimi al litro (o anche a meno), pur sapendo che con quel prezzo non si paga nemmeno il lavoro di chi lo ha munto. Anche noi, per risparmiare, acquistiamo prodotti che sappiamo provenire da un mercato che non salvaguarda il rispetto e la dignità del lavoro e dei lavoratori. Chi decide il prezzo? Certamente è qualcuno (in alto nella cosiddetta filiera) che in realtà fa il suo interesse, ma si nasconde dietro l’alibi dell’interesse dei consumatori, e noi questo alibi glielo confermiamo e non pensiamo minimamente a cambiare le nostre abitudini e le nostre priorità.

Quella di mia nonna era una storiella inventata per impaurire i bambini, ma non vorrei che una «terra di mezzo» esistesse davvero, però nell’aldiquà, e tutti noi, se non sapremo andare oltre una epidermica indignazione, potremmo trovarci a piangere sul latte versato.

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