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Il disastro Covid e l’alimentazione

di Mario Guidotti

Tra le conseguenze indirette del disastro Covid in corso non si parla mai abbastanza del rapporto tra pandemia e cibo. È un’aggravante che rientra nell’allarme lanciato dal massimo organismo di Psichiatria britannico, il Royal College: gli effetti di quanto sta accadendo rappresentano la più grave minaccia per la salute mentale dalla seconda guerra mondiale.

Il rapporto tra lockdown ed alimentazione si declina prevalentemente in due linee: disturbi alimentari sia sul versante del sovrappeso che dell’anoressia in crescita da un lato, alcolismo domestico in significativo aumento dall’altro.

Vediamo i numeri. Le richieste per valutazioni urgenti relative a disturbi alimentari in Inghilterra sono passate dal 20% prima della pandemia all’80% durante la stessa. In Italia, le domande di aiuto per anoressia in età 11-13 anni sono cresciute del 100%, del 62% tra i 14 e 15, mentre sono quadruplicati i casi di disturbi alimentari tra i 9 e i 17 anni in Inghilterra nello stesso periodo (dati Sette-Corriere della Sera). Secondo l’Istituto Superiore di Sanità già nei primi mesi di chiusura per Coronavirus in Italia i canali di vendita online e di home delivery di bevande alcoliche hanno fatto un più 180-250%.

È evidente che il dato va ricalcolato al netto delle chiusure degli ambienti di normale diffusione degli alcoolici. Ma fa impressione anche leggere che secondo i responsabili dei centri che si occupano delle dipendenze alcoliche si sono registrate ricadute del 20% in chi aveva smesso ed un incremento del 15% del numero di soggetti dipendenti dall’alcol. Sicuramente anche in altre nazioni non se la passano bene, ma in Italia abbiamo un problema non leggero con l’etilismo: secondo la Società Italiana di Alcologia ogni giorno muoiono per alcol 48 persone e 17.000 ogni anno. Metteteci poi che il numero di persone che ne consumano dosi considerevoli è cresciuto del 63% durante la pandemia e che tra i soggetti a basso rischio il 28% è passato nella fascia del consumo pericoloso. Questo contrasta con una costante e martellante pubblicità relativa allo “spritz”, all’immancabile bicchiere nei film e nelle serie tv, all’insopportabile neologismo “apericena”, all’ammiccamento dell’adulto, del nonno, del “vecio” nelle rimpatriate militaresche, al messaggio che se non ti sciogli la parlantina con l’alcool non rimorchi, fino al Pil italiano, che senza adeguato consumo di bollicine sembra non poter crescere.

I fenomeni di disagio alimentare che abbiamo elencato sono maggiormente espressi nei giovani, ma rispetto a prima della pandemia il dramma forse veicola con sé anche la soluzione: gli adulti ce l’hanno davanti. Sì, perché fino a un anno fa potevano far finta di non vedere e non sapere. Ora i ragazzi che abusano di cibo e di alcol sono nelle stesse case. Non possono più far finta di non sapere come in precedenza, quando li sentivano rientrare ciondolanti verso mattina. Per quanto dolorosa possa essere, la presa di coscienza è il primo gradino verso la soluzione di un problema.

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