di Mario Guidotti
È una delle prime cose che impariamo e non dimentichiamo più: tutto finisce. Le persone, le cose, le stelle, l’universo, niente dura per sempre. Il resto è nelle pieghe della Fede.
Di fronte alla partenza definitiva di qualcosa o qualcuno cui tenevamo molto abbiamo due strade: disperarci per ciò che non sarà più, oppure sentirci ricchi per ciò che chi o cosa va via per sempre ci ha lasciato.
Mi sforzo a fatica di appartenere alla categoria di quelli che si comportano nel secondo modo. Così farò per questa rubrica, “Il martelletto”, che oggi va a esaurirsi. È stato un piacere e un onore ospitarvi nella mia casa. Mi spiego: una rubrica è da considerarsi un’abitazione, un ambiente, un luogo, dove l’arredo sono idee, riflessioni, emozioni, ricordi, provocazioni, proposte, visioni, ambizioni (Copyright: Beppe Severgnini). E ogni titolare di rubrica condivide le proprie con il lettore.
Così è stato per Il Martelletto, il cui nome avevo proposto a Direttore e Vice Direttore del quotidiano che lo ha ospitato, dal 2016. Martelletto è lo strumento del neurologo, con il quale si valutano i riflessi degli esaminati alla visita, ma in questo àmbito ha voluto significare un mezzo per sollecitare il lettore, con garbo ma anche con energia, ad affrontare un problema, a riflettere su un evento, a conoscere una storia. Ben lo aveva compreso uno dei miei più illustri frequentatori della rubrica, il Professor Giorgio Cosmacini, medico, scrittore e storico della Medicina, che anni fa incontrandomi a una cerimonia mi apostrofò simpaticamente: “tu sì che martelli i comaschi”.
Lascio onoratissimo una “dimora” di 242 corsivi sotto il nome della rubrica, in un totale di 421 pezzi pubblicati a mia firma in 12 anni di collaborazione con il Corriere di Como. Come è noto, faccio un altro lavoro, ma comunicare con il lettore è stato molto più che un hobby, un impegno che ho voluto prendere con la stessa serietà con la quale mi sono preso cura dei malati. Al Direttore di questo quotidiano va il perenne ringraziamento di avermi dato un’incredibile opportunità, unita alla libertà più assoluta di esprimere le mie idee. Mi scuso con il lettore che ha spesso subìto una grammatica primitiva e una sintassi spesso zoppicante.
Tengo a dire che quest’esperienza mi ha insegnato tantissimo e mi ha cresciuto immensamente. Ho sentito il privilegio, ma anche la responsabilità di raccontare (anche) la Medicina alla gente, cercando di far comprendere il limite di una disciplina che unisce le evidenze scientifiche alla necessaria arte umana di prendersi cura di chi soffre, nel corpo e nello spirito. Dopo averla praticata, la Medicina appunto, non potevo chiedere di più che poterne parlare, raccontare, riflettere con la gente. Oltre a questo mi è piaciuto immensamente esporre le mie idee sui costumi, sui comportamenti, sulle doti, sui limiti e sulle contraddizioni della razza umana. È stata una cavalcata emozionante e io vi saluto felice.
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