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Il Politeama nella città delle aree dismesse

DI Marco Guggiari

Oggi scade la raccolta di adesioni per co-progettare entro un anno il salvataggio del Politeama, che è chiuso dal 2005 e che è stato anche rinserrato nei giorni scorsi in impalcature che preservano la struttura e i passanti dal rischio di crolli.

Non si intende qui ricordare ciò che è “romantico”, la gloriosa storia del cineteatro (uno dei primi di Como) e nemmeno le considerazioni già fatte in altre occasioni riguardo le difficoltà e le sinergie necessarie per un suo recupero.

Qui oggi ragioniamo su altro. Su due aspetti, in particolare. Il primo, i luoghi dismessi di Como, che sono numerosi e che lo sono da troppo tempo. In un quadrilatero ideale, dai lati irregolari, si incontrano via, via lungo la tangenziale l’area ex Danzas, la Santarella e la spianata della Ticosa, su, su fino al vecchio ospedale Sant’Anna con i suoi padiglioni vetusti e inutilizzati. Poi, sull’altra collina, il San Martino con gli edifici dell’ex manicomio e, giù, l’ex orfanotrofio tra le vie Dante Alighieri e Tommaso Grossi, fino appunto al lato del Politeama. È un sommario e incompleto censimento di aree pubbliche e private. Non soltanto di ex tintorie e tinto-stamperie, che pure abbondano nella Como industriale della seta.

La prima considerazione è proprio questa: il Politeama si iscrive di diritto, purtroppo, nell’era degli immobili lasciati a marcire dalla città di Como per un numero di anni incredibilmente anomalo. Con tutte le attenuanti del caso, vale a dire la carenza di risorse, quella di mecenati, da ultimo la mazzata della pandemia, è in ogni caso evidente che questa è una situazione atipica nella storia del capoluogo. Ed è segno di decadenza anche della politica, che non sa trovare soluzioni.

Il secondo aspetto è specifico, riguarda l’ambito delle arti. Più precisamente, dei luoghi cittadini destinati ad accoglierle nelle loro diverse declinazioni, a promuoverle e a permetterne l’espressione. Luoghi che si sono progressivamente ridotti al lumicino. Sale cinematografiche e teatrali, spesso destinate all’una e all’altra funzione, talvolta anche a forme artistiche musicali, hanno chiuso i battenti negli ultimi vent’anni. Quelle che restano aggrappate con i denti alla propria gloriosa tradizione, il Cinema Gloria di via Varesina, l’Astra di viale Giulio Cesare, sono impegnate in durissime campagne di raccolta fondi, confidando in generose donazioni individuali, per non esalare l’ultimo respiro.

Il Politeama non può fare eccezione, essendo parte integrante di quello che era un bellissimo sistema, su cui è tramontato il sole. Ma nel caso del cineteatro di via Gallio, prima di pensare alle donazioni, occorre salvare la struttura e va risolto il nodo della proprietà. Il Politeama è quindi sfavorito perché non poggia su un quadro già definito. Ha una sola grande chance, la sua posizione centrale e privilegiata in una zona di pregio della città. Si tratta di un vantaggio che, se la co-progettazione futura partorirà un’idea vincente, potrà tradursi in azione. Ma intanto passerà un altro anno, secondo quanto dichiaratamente previsto, e il vantaggio alla fine potrà diventare un clamoroso e definitivo svantaggio. Basta pensare a cosa accadrebbe se prevalessero appetiti immobiliari in grado di mangiarsi la destinazione culturale e ricreativa del luogo, a beneficio di interessi di tutt’altra natura. Legittimi, ma oggettivamente diversi.

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