di Adria Bartolich
Devo dire la verità, questo ministro dell’Istruzione incomincia a destare il mio interesse perché, contrariamente alla parata di inconsistenti ripetitori di slogan più o meno azzeccati dell’ultimo periodo, non è uno che blatera più di tanto, diciamo il giusto, e ogni tanto esprime concetti che sembrano segnalare un’idea di scuola in testa e soprattutto su quello di cui la scuola, anzi i ragazzi, hanno bisogno.
Una scuola che tenga insieme finalmente, se ci riesce, non soltanto un bisogno generico di cultura e implementazione della conoscenza, elemento essenziale e indiscutibile, ma anche una visione pedagogico-didattica, e il collegamento con il mondo del lavoro. Sembra una banalità, ma in effetti non lo è.
Nella storia del dibattito scolastico di questo Paese, il vero salto di qualità sarebbe riuscire a superare la separazione dei saperi, il primato dell’istruzione umanistica su quella tecnico/scientifica, dell’istruzione colta da quella più direttamente legata alla manualità, alla produzione e al mondo del lavoro.
In altre parole la scuola come un grande laboratorio sperimentale in cui gli alunni possano misurarsi i con i diversi saperi, competenze metodologiche, intellettuali e manuali nell’epoca della smaterializzazione.
Infatti, i ragazzi rischiano una crescita a metà, non in grado di misurarsi con la realtà fisica se non in modo sporadico, soprattutto in periodo di pandemia, nel corso del quale molte attività sono di fatto precluse o limitate.
Il richiamo del ministro Bianchi, quindi, “Abbiamo due pandemie da combattere, quella fisica e quella dell’individualismo: su questo la scuola ha una funzione importante e l’inclusione è al centro di questa nuova fase, sentiamone tutte le difficoltà ma anche tutta la bellezza, per tutti, non uno di meno”, non solo è importante ma coglie l’essenza del problema, cioè la modificazione antropologica indotta prima dalla rivoluzione digitale, poi dalla pandemia.
Ed è quanto mai pertinente. Dobbiamo formare giovani che sappiano scegliere, selezionare in modo critico, mettere in ordine le priorità ed usare gli strumenti potentissimi che hanno a disposizione, sapendo che sono tali, con responsabilità, intuendone i possibili sviluppi e ricadute; perché forse per la prima volta nella storia non saranno solo gli strumenti del loro lavoro futuro ma anche il primo veicolo delle loro conoscenze, delle loro relazioni e dei rapporti umani e sociali. Cioè la loro intera vita.
Senza interruzioni o intermezzi. Lavoro da casa, smartphone h. 24 ci proiettano in un modo senza distinzioni fra tempo di lavoro e vita personale.
Forse la riflessione, quella vera, non deve essere più incentrata su come regolamentare il tempo o cosa farne, come successe dopo la rivoluzione industriale, ma come riempirlo di qualità e valore.
Serve per il lavoro e a maggior ragione per la scuola, che deve assumere nuove funzioni e diventare immediatamente il contenitore della riflessione e della rielaborazione su quanto succede intorno ai ragazzi, che rischiano di vedere bandita dalla loro vita, in modo pressoché totale, l’esperienza diretta, cioè quella parte vitale e centrale per un percorso educativo degno di questo nome, nella quale si impara anche dai propri errori.
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