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Il sindaco di Riace e il rispetto delle leggi

di Agostino Clerici

«Io sono agli arresti per reato di umanità». Così il sindaco di Riace, Domenico Lucano, parlando con i giornalisti nel Palazzo di Giustizia di Locri al termine dell’interrogatorio di garanzia davanti al Gip. Lucano è finito agli arresti domiciliari una settimana fa, per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e fraudolento affidamento diretto del servizio di raccolta dei rifiuti. Credo che non siano questi i reati di umanità per cui Lucano dice di essere stato arrestato. Egli si riferisce al progetto di integrazione sociale realizzato nel piccolo comune calabro, noto come “modello Riace”.

Non voglio discutere qui della bontà o meno di questa sorta di “città del sole”, ben sapendo che i pareri sono diversi. Sono d’accordo che dare ospitalità e stabilità con una abitazione e un lavoro a persone in difficoltà sia indice di umanità. Anzi mi pare addirittura ovvio che lo sia. Di per sé, quindi, questa azione non può essere considerata un reato, a patto però che sia svolta – a maggior ragione da un sindaco – rispettando le normative di legge che la regolano.

Il procuratore di Locri, Luigi D’Alessio, che si è visto sconfessare dal Gip buona parte del suo impianto accusatorio, ha dichiarato in una intervista che «Mimmo Lucano ha operato non come sindaco, rappresentando i cittadini nel rispetto delle regole, ma come un monarca, ammettendo di fregarsene di quelle regole che sono una garanzia per tutti». Quindi, non sarebbe in discussione tanto il “modello Riace” (che il magistrato stesso dice di ammirare), quanto le modalità con cui è stato portato avanti dal sindaco. Si tratta ora di rispettare – e più volte in passato lo si è detto – il lavoro della magistratura inquirente.

Ciò che si può dire da subito è molto semplice. Un cittadino può anche disubbidire ad una legge dello Stato, sapendo però di incorrere in una sanzione, e anzi accettandola. Laddove vi sono evidenti conflitti di coscienza, la legge stessa contempla la possibilità per il cittadino di fare obiezione di coscienza. Ma vi sono casi in cui questo non è previsto dalla legge e, dunque, per chi vuole seguire il dettato della sua coscienza si apre la strada dell’illegalità con tutto quello che ne consegue.

Diverso è il caso di quel particolare cittadino che è il sindaco e che è chiamato a svolgere un’azione amministrativa che non può andare contro la legalità. L’unica alternativa per una persona investita di un pubblico ufficio, nel momento in cui sia posta di fronte al conflitto tra una legge e la sua coscienza, è rimettere il suo mandato dando le dimissioni, e semmai continuare la sua azione come semplice cittadino, pagandone le conseguenze, o lavorare perché nei luoghi deputati quella legge sia cambiata. Comportarsi diversamente e addirittura fare dell’illegalità una bandiera – arrivando a parlare di un “reato di umanità” – mi pare oltremodo pericoloso e altamente diseducativo. Fa passare l’idea, soprattutto tra le persone più semplici e meno dotate di uno spirito critico, che la legge si possa aggirare in nome della “umanità” che di volta in volta ciascuno ha autonomamente deciso.

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