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Incognite in attesa della “terza città”

di Marco Guggiari

Tra una settimana qualcosa cambierà, non molto e non per tutti. Riprenderà il lavoro, almeno in parte, e ci sarà un po’ di libertà in più, un bene che abbiamo imparato a non considerare scontato.

Vedremo così la “terza città” di Como, dopo quella ante-Covid-19, caotica, convulsa e piena di guai che ci fanno arrabbiare e dopo l’attuale, vuota. Quella odierna è la città del silenzio, rotto da continue sirene di ambulanze, della vista di rari passanti con i visi irriconoscibili, mascherati come il nostro, disciplinatamente in coda sovietica per entrare al supermercato.

Della prima città, nonostante tutto, proviamo sentimenti di nostalgia. Ne abbiamo scordato, o almeno messo tra parentesi i guai, anche quelli più pesanti da sopportare. Nei giorni scorsi c’è chi si è fatto scudo anche del coronavirus per rimandarne la soluzione. È il caso del cantiere sul lungolago con il rinvio dell’attesa e già ritardata firma del contratto da parte della Regione.

Adesso siamo impazienti di immergerci nella “terza città”, quella il cui orizzonte oltrepassa i duecento metri da casa. Come sarà? Nelle intenzioni non avrà ore di punta e vedrà girare più biciclette, ma lungo strade di improvvisate piste ciclabili, perché quelle autentiche non le abbiamo.

A Como e in provincia, però, preoccupa il numero dei nuovi contagi quotidiani. Viviamo una coda velenosa del virus, proprio mentre altrove colpisce di meno in rapporto alla popolazione. Qui, dove è andata un po’ meglio, paghiamo comunque un tributo di oltre quattrocento morti.

La “terza città” non si aprirà dunque all’insegna del sereno. Gli anziani non sanno ancora se le restrizioni a cui oggi siamo tutti soggetti, per loro resteranno in vigore anche dopo il 4 maggio. Si è ipotizzata una quarantena ulteriore da una certa fascia di età in su. Una scelta che rischia però di produrre risultati negativi alla vigilia dell’estate e delle temperature calde, se si impedisce a chi è più in là negli anni di stare un po’ all’aria aperta con le dovute precauzioni.

Costringere un’ampia fascia di popolazione agli arresti domiciliari perché la si presume a priori più debole e fragile solo per il numero di primavere accumulate, rischia di farla diventare tale di più e per davvero. Per la sua salute psichica e fisica e per la tenuta cognitiva. Una contraddizione da evitare, se si vuole veramente tutelare gli ultra 65enni che sono oltre un terzo della popolazione italiana.

La “terza città”, come tutta la Lombardia, attende anche una diversa, più forte e capillare medicina del territorio. Ciò che è successo fin qui dimostra quanto sia stata trascurata in una regione dove invece ci si è dedicati con ottimi risultati all’eccellenza della specializzazione ospedaliera. Sarebbe illusorio pensare che questo ambito cruciale sia potenziato già nella fase due, a pandemia tuttora in corso. Non esistono segnali in direzione del rafforzamento di una rete diffusa di servizi.  Ma il tema è sul tavolo e non potrà essere ignorato nel prossimo futuro.

La “terza città” richiede inoltre presidi di sicurezza e fa arrabbiare che le mascherine protettive per sé e per gli altri siano introvabili, oppure si possano acquistare a prezzi da mercato nero. Una pratica odiosa e vergognosa, indipendentemente da chi ne porta le responsabilità, nella sostanziale assenza di controlli e di sanzioni.

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