di Adria Bartolich
Leggo continue esortazioni alla riapertura delle scuole. Alcune con motivazioni condivisibili, cioè la necessità di riportare bambini e ragazzi ad una vita comunitaria facendoli uscire dall’isolamento di questi mesi, e anche piene di preoccupazioni per la sistemazione dei figli dei genitori che a breve, si spera e se andrà tutto bene, dovranno riprendere a lavorare. Altre sono molto meno condivisibili e trattano il problema dello slittamento del rientro a scuola quasi non dipendesse dalla diffusione di un virus pericoloso e dell’epidemia ma quasi fosse una scelta dei soliti dipendenti pubblici per prendersi un altro po’ di vacanze.
Per i sostenitori di quest’ultima posizione è utile ricordare che le scuole, se non stanno funzionando con il lavoro in presenza e negli edifici preposti, stanno invece operando con la didattica on line. Certo, non è come stare a scuola, la differenza è evidente, ma comunque sottende un impegno lavorativo del personale scolastico, spesso addirittura maggiore a quello profuso per la didattica in presenza.
Ora, qui la scelta non è se protrarre o meno le vacanze bensì come garantire la riapertura delle scuole in sicurezza per alunni e operatori della scuola. Non si tratta di un problema di poco conto. Si stanno studiando misure di profilassi e distanze di cui tenere conto, sanificazione degli edifici, organizzazioni degli spazi che, non sembra, ma in una scuola sono affari parecchio complessi. L’invito perciò è quello di evitare di banalizzare le difficoltà che ci sono e che è necessario tenere in grande considerazione.
Certo, l’insegnamento e l’apprendimento passano inevitabilmente attraverso un lavoro di relazione tra le persone, docenti e allievi, e anche dei ragazzi tra di loro.
È un aspetto da non sottacere e di cui avere grande cura. Però l’insegnamento non è solo un lavoro di cura e di relazione, è anche preparazione professionale, conoscenze tecniche, cultura e motivazione sia dalla parte dei docenti che da quella dei discenti. Mi pare, infatti, che l’apporre un accento eccessivo sul tema della relazione nasconda un pericolo altrettanto grande, e cioè che una buona relazione sia sufficiente a garantire una buona scuola. Così non è.
Troppo spesso la scuola, più che luogo dell’apprendimento e dell’educazione, è vissuta come una sistemazione temporale e un posto dove i ragazzi possono passare alcune ore sorvegliati e a volte anche accuditi, specie se sono piccoli.
Una buona scuola non è soltanto il risultato di relazioni gradevoli ma il frutto di un complesso lavoro professionale e organizzativo di un intero sistema. Se questo non c’è, non è una buona scuola, è solo avere qualche bravo insegnante. Non facciamo questo errore: non basta.
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