di Mario Guidotti
Uno dei momenti più delicati riguardanti la degenza dei malati in ospedale è la visita dei parenti, amici, conoscenti. È forse anche il più atteso, lo sappiamo bene, ma rappresenta una vera e propria criticità per lo svolgimento delle attività sanitarie e per il rischio di sovra-infezioni per chi, ricoverato, è già in una condizione di estrema fragilità biologica.
Vediamo di capire. In tutti gli ospedali ci sono degli orari di visita, belli, brutti, comodi, scomodi, ma rappresentano una regola. È costantemente violata. Perché? Perché nella nostra nazione, si sa, le regole piacciono poco e talune addirittura sono ridicolizzate. A proposito di orari visita negli ospedali poi è l’anarchia. «Ero già qui, posso fare un salutino al mio paesano?». «Se lei tenesse veramente al suo amico, verrebbe quando è possibile, non perché è già qui, aspetti un’ora, poi entri», è spesso la risposta. L’interlocutore insiste «ma dai, che cosa le costa un minuto, poi non posso più».
Ora, letta così sembra veramente che l’operatore sanitario sia un cattivone che non vuole che i malati abbiano rapporti sociali. Ma è giusto che il lettore sappia: primo, che al vicino di letto si sta posizionando un catetere vescicale (a voi piacerebbe che mentre siete a gambe spalancate con un tubicino che sta arrivando proprio lì, entri uno che va a visitare il vostro vicino di letto?). Secondo: l’operatore sanitario che sostiene la conversazione si è già distratto per esempio dalla diagnosi che stava facendo, oppure dalla terapia che stava andando a somministrare.
Fareste così in un tribunale? In una catena di montaggio? In uno studio notarile? Dal vostro commercialista? Ma anche banalmente in un museo, ad una mostra, quando finisce l’orario tutti si affrettano per uscire, in ospedale invece i parenti devono essere mandati fuori supplicandoli. Senza contare il numero di visitatori. Siamo arrivati a contare 12 persone intorno al letto di un degente, perlopiù non in agonia. Perché capiamo anche noi che se si deve portare l’estremo saluto può essere comprensibile un’estesa partecipazione, ma non a chi non ne ha un bisogno particolare.
Forse la gente non sa che ciascuno porta germi, certo, anche gli operatori sanitari ne portano, ma lo sanno e conoscono come approcciarsi a chi è malato e soprattutto, costoro sono indispensabili, 12 parenti non sempre lo sono, e figuratevi se di questi tempi non si veicolino virus influenzali. Non ci crederete, ma su queste regole elementari non passa giorno che non si litighi per farsi capire. «Ma noi siamo una famiglia unitissima!». Sì, poi chiedendo bene al nonno ricoverato, salta fuori che a casa nessuno lo andava a trovare da settimane.
E poi, cari parenti, non è più sensato venire uno alla volta a rotazione, così c’è più copertura? Meglio ancora se qualcuno viene per dare da mangiare a chi serve. È scomodo? Portare una visita in ospedale deve essere un gesto mirato ed utile, non fatto in qualche modo ed incastrato in base alle comodità di altre commissioni.
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