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Iraq, l’esempio dei bambini di Qaraqosh

di Agostino Clerici

Tra sabato e domenica ho seguito in televisione alcuni degli appuntamenti più significativi della visita del Papa in Iraq. Sicuramente un evento di grande significato non solo religioso ma anche geopolitico e che potrà dare frutti in futuro, ben oltre la simbolicità degli incontri ad alto vertice che si sono verificati nei giorni della visita. Solitamente il lento processo di pacificazione culturale e religiosa tra i popoli trova in questi eventi una sorta di ufficialità e visibilità, ma sappiamo che poi una reale convivenza di pace ha bisogno di una sedimentazione silenziosa e quotidiana che sfugge al clamore dei grandi eventi trasmessi In mondovisione. Non v’è dubbio, però, che possiamo considerare già come un evento storico questo viaggio di Papa Francesco in terra irachena.

Mi ha molto colpito la visita alla comunità cristiana di Qaraqosh, avvenuta in una delle chiese spazzate via nell’agosto 2014 dall’onda nera della violenza dell’Isis – distruzione, morte, fuga della popolazione – che in quei mesi sembrava inarrestabile. La chiesa dove il Papa ha incontrato la comunità cristiana era stata semidistrutta e soprattutto trasformata in un poligono di tiro dai guerrieri dell’Isis. Mi ha emozionato vedere volti sorridenti (anche perché le mascherine erano rare) ed il coro delle voci che intonavano canti gioiosi.

Ma soprattutto mi ha emozionato vedere tanti bambini assiepati lungo la navata, fuori dai banchi, prima seduti per terra e poi scattare in piedi. I bambini sono coloro che più atrocemente soffrono le conseguenze della guerra e della violenza. In quella chiesa martoriata che Papa Francesco nobilitava con la sua presenza quei bambini erano il segno di una gioia irrefrenabile e di una speranza certa. Per capire come potessero essere così contenti, ho fatto un paragone con la folla dei bambini che il 4 maggio 1996 riempirono gli spalti dello stadio di Como in attesa dell’arrivo di Papa Giovanni Paolo II. Il quale, scendendo dalla scaletta dell’elicottero, rimase meravigliato dal vociare di quella gioia che sembrava incontenibile. Ogni bambino invece è capace di contenerla e anche di manifestarla. Ne è portatore naturale, se nessuno gliela spegne.

I bambini seduti per terra lungo la navata della chiesa di Qaraqosh mi sono sembrati attori di una gioia più consapevole, in cui la serenità e la semplicità si portano dentro anche tanta sofferenza e la fatica di crescere in un contesto difficile. Ho pensato ai nostri bambini e ragazzi, che nell’ultimo anno hanno dovuto sopportare qualche disagio come conseguenza della pandemia, soprattutto il rarefarsi degli incontri tra di loro, la sospensione delle attività ludiche e sportive e la didattica a distanza. Problemi certo per i nostri ragazzi, e che si spera possano essere superati al più presto. Ma ho la sensazione che spesso siano diventati principalmente materia di acceso dibattito nel litigioso agone politico.

Como e Qaraqosh per tanti aspetti sono molto distanti. Ma farebbe bene ai nostri ragazzi e ai loro genitori ed educatori ascoltare le storie di vita che i ragazzi iracheni potrebbero raccontare loro. Li aiuterebbe a capire che i disagi che in questi mesi hanno dovuto e devono ancora sopportare sono una occasione per crescere e per imparare. E magari sarebbero contenti di stare seduti insieme nella stessa navata.

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