Categories: Opinioni & Commenti

La ripresa lenta dei teatri

di Lorenzo Morandotti

La notizia che lo Spazio Gloria di Como, l’unico cinema monosala attivo a Como con continuità (dato che l’Astra è chiuso a tempo indeterminato e gli altri hanno attività sporadiche)  potrà godere di una proroga dell’affitto fino al 2022 è da accogliere con gioia. Uno spiraglio di luce in uno scenario di tenebra per i teatri e i luoghi dello spettacolo sul Lario, gravati da una crisi che il coronavirus ha accelerato ma che ha radici ben più antiche.

A tale notizia giunta lunedì scorso  si sommano altri sforzi di volontà encomiabili per continuare da parte di operatori dello spettacolo. Laura Negretti, attrice e produttrice teatrale, scalpita per tornare in scena dopo il lockdown, e su Facebook non fa che postare messaggi di incitamento alla categoria.

E penso al cartellone “Nivul e sogn” lanciato con   audacia da Miriana Ronchetti, anima drammaturgica della compagnia Orizzonti Inclinati di Como,  radunando come sempre le forze sulla base di un caparbio volontariato culturale che per puro amore e per pura passione del bello e dell’arte getta ancora una volta il cuore oltre l’ostacolo. Anche quando l’ostacolo è una torta millefoglie: l’indifferenza delle istituzioni, la sordità della società civile (peraltro già alle prese con una crisi economica inaudita), la distrazione del pubblico che preferisce stordirsi con più facili intrattenimenti consumistici. Tanti teatri però rimarranno muti. E la spada di Damocle simboleggiata dall’ex Politeama chiuso da 15 anni è un convitato di pietra pesantissimo.

Parliamoci chiaro: la fase due per la cultura è tutta in salita  e  la ripresa dei teatri (nella foto, il palcoscenico del Sociale di piazza Verdi a Como) sarà più lenta di quella dei musei che pure hanno riaperto. A parte le norme tuttora in vigore (si parla del 15 giugno come data di sblocco per i cinema) che impediscono assembramenti al chiuso, qui non basta un po’ di liquido per sanificare e qualche mascherina.

Servono ben altri liquidi.  Tre teatri su 4 sono ricorsi ad ammortizzatori sociali e hanno dovuto risolvere i contratti con fornitori e compagnie. Decisamente minore l’impatto sui musei della pandemia. Questo è  quanto emerge da uno studio Sda  Bocconi coordinato da Andrea Rurale che sottolinea che è ora di rivedere il modello di business,  dato che  anche le prospettive di ripresa sono molto diverse.

La prima ovvia constatazione è che il distanziamento sociale è impensabile in una sala teatrale sia tra il pubblico, dove metà della platea risulterebbe vuota, sia sul palcoscenico dove si potrebbero mettere in scena solo monologhi o comunque presenze più rarefatte. Un’Aida in versione da camera con tre cantanti di numero? Ridicolo.

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