Categories: Opinioni & Commenti

La sconfitta dei contanti

di Giorgio Civati

Comunque la si guardi e qualche che sia il momento dell’entrate in vigore, gennaio o luglio, questa storia della limitazione dell’uso del contante è una sconfitta. Per lo Stato che ammette, così, che fare ricorso a una restrizione della circolazione dell’unica forma di pagamento che ha valore legale, cioè che tutti e sempre sono obbligati ad accettare, è come alzare bandiera bianca di fronte all’evasione fiscale. C’è una logica nel provvedimento, lo ammettiamo, e per di più succede qualcosa di simile in molte parti del mondo. Però la sostanza non cambia: sarebbe il fisco a doverci controllare, e sarebbe ovviamente anche giusto che lo facesse: chi evade scarica su altri il costo della “macchina” pubblica che è fatta di stipendi degli statali, di benzina per le auto e i mezzi dei vigili del fuoco, di asfalto per le strade, di scuola e sanità. Sarebbe il fisco, si diceva, che però proprio non ce la fa a fare il suo mestiere e anzi ci mette del suo per complicare le cose, rendere difficile quello che dovrebbe essere semplice e trasparente, caricare di costi per consulenze e professionisti e obblighi un’attività che dovrebbe essere ben più facile. Tanto per fare paragoni, nella vicina Svizzera può succedere che l’ufficio equivalente alla nostra Agenzia delle Entrate chiami a casa un privato e chieda chiarimenti. E una volta ottenuti dica che va bene così, che hanno preso nota, senza Pec, raccomandate, chili di carta a giustificazione, code e perdite di tempo. E se poi guardiamo più lontano, negli Stati uniti d’America, la denuncia dei redditi è una paginetta, non un volume. Nel caos italico di leggi e regolamenti fiscali, invece, tutto è nebuloso. I doveri ma anche i diritti dei contribuenti. E, allo stesso modo, i campi d’azione e i limiti eventuali del fisco. Tra il colosso digitale e il meccanico sotto casa, la badante straniera e la finanziaria alle Cayman, il fisco arranca. Con i deboli e con i forti, con gli evasori per sbaglio e con quelli “professionali”. Con uno scontrino non emesso per una parrucchiera che ha pettinato se stessa e con i milioni che girano il mondo alla ricerca della tassazione meno pesante. E così si penalizza l’uso del contante. Di quelli che in realtà sono quattro soldi, perché è pur vero che qualcuno ancora gira con valigie piene di banconote, che l’evasione è anche la piccola evasione, quella quotidiana, ma resta il fatto che i grandi numeri sono altri. Da anni ormai i soldi non si muovono quasi più fisicamente ma con un click del Pc, con lo spostamento della sede legale di un’azienda da qui a là – e “là” è un posto nel mondo dove la tassazione è più bassa – con operazioni finanziarie e societarie fantasiose. Tra proclami sulle manette agli evasori – che prima di essere messi in galera devono essere identificati – e lotta ai contanti, insomma, questo nostro Stato ancora una volta non ne esce bene.

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